Recensione Dark Souls 3: unico per livello di difficoltà

Recensione Dark Souls 3: unico per livello di difficoltà

Questa settimana esce il nuovo capitolo della serie di action rpg famosa per il suo livello di difficoltà. Dark Souls 3 è la prima iterazione dell’ormai celebre saga di From Software sviluppata dopo che la serie si è biforcata in una seconda direzione con Bloodborne, il titolo realizzato in prima persona da Hidetaka Miyazaki in parallelo alla lavorazione di Dark Souls 2.

di pubblicato il nel canale Videogames
Bandai Namco
 

Lordran, un'altra volta

È sempre complicato parlare della trama di un Soulslike: tutti i giochi sono caratterizzati da un intreccio apparentemente semplice ma raccontato in modo vago, persino onirico, lasciando ampio spazio alle interpretazioni. Su questo aspetto però si concentrano la maggior parte delle critiche che riservo nei confronti di questo Dark Souls 3. Attenzione a spoiler più o meno grandi nel proseguimento del capitolo.

Dark Souls 3 promette di essere un vero e proprio seguito del primo Dark Souls, che vedeva il protagonisto impegnato a ripristinare (o no?) la Fiamma dopo il fallimento di Lord Gwyn e dei suoi Lord. Ricorderete grosso modo la presentazione del gioco che ci parlava di questi imponenti signori dalla caratura mitologica, alleati in tempi antichi per sconfiggere i draghi e premiati da Lord Gwyn con una “fiamma” che li rendeva sostanzialmente creature divine. Tutti e quattro andavano rintracciati e picchiati selvaggiamente, per aprire la strada a Gwyn stesso. Il tutto vestendo i pann di un non morto qualunque, che si ritrovava a compiere la profezia e a diventare il prescelto.

In DS3 la storia viene presentata illustrando questi quattro imponenti signori dalla caratura mitologica, che vanno rintracciati e picchiati selvaggiamente per aprire la strada al re, Lothric. Il tutto vestendo i panni di un non morto qualunque che si ritrova a compiere la profezia e diventare “l’Ashen One”.

Insomma la premessa proprio non si discosta tanto dal primo Dark Souls. Non si discostano più di tanto nemmeno i nostri compagni di viaggio che per un motivo o per l’altro rientrano tutti quanti negli archetipi che già conosciamo: ci sono mercanti e istruttori da reclutare (il piromante, la chierica, lo stregone e così via). C’è il personaggio losco che fa qualcosa di spregevole. C’è Patches! Insomma il cast è al completo, forse persino troppo perché anche qui confesso che mi ha lasciato molto amaro in bocca veder riproposti gli stessi identici schemi.

Va detto che in questo capitolo della serie però i rapporti con i personaggi sembrano leggermente più approfonditi. Non posso testimoniare più di tanto perché come ben saprete, nei Soulslike sviscerare questi elementi richiede numerose partite e anche una certa dose di fortuna, ma l’idea è che molti dei personaggi secondari sviluppino una trama personale più integrata rispetto alle scelte del giocatore (ad esempio, unirsi a un certo convenant apre interazioni con alcuni NPC ma ne chiude altre).

A proposito di covenant, anch’essi tornano in modo piuttosto tristemente identico al solito. È un altro elemento dove avrei voluto vedere qualche sforzo in più. Il core del gioco da quel punto di vista ormai è chiaro: un covenant di cooperazione, un covenant di attacco e un covenant di difesa. Diciamo pure un covenant di protezione territoriale anche se ritengo che se ne farebbe forse a meno. Ma davvero non c’era il modo di espandere queste meccaniche con qualche idea nuova? Demon’s Souls e il primo Dark Souls facevano di questi azzardi la loro bandiera. Qui, mi spiace dirlo, ma manca davvero il coraggio.

 
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