Recensione BioShock Infinite: cultura al cuore
Eccovi finalmente la nostra recensione di BioShock Infinite, un titolo destinato a cambiare per sempre la storia dei videogiochi. Prima di lasciarvi alla lettura, vi preghiamo di notare che le immagini sparse per l'articolo sono quelle fornite dal produttore, mentre nella gallery e nella pagina 'Gli aspetti tecnici' trovate una serie di shot che abbiamo catturato dalla versione PC di BioShock Infinite impostata al massimo livello di dettaglio grafico.
di Stefano Carnevali, Rosario Grasso pubblicato il 10 Aprile 2013 nel canale VideogamesIl lato oscuro di Columbia
In un contesto di vera esaltazione, c’è comunque spazio per sottolineare qualcosa che – nella pur eccezionale opera di Levine – ha funzionato un po’ meno.
La citata sensazione di essere alle prese con un gioco ‘da corsa’, se da un lato lascia intendere che l’azione sarà sempre frenetica e adrenalinica, dall’altro presenta il problema di una certa superficialità che inficia la tantissima carne al fuoco di Infinite.
Gli spunti narrativi, ambientali e ludici sono davvero tantissimi. Ma non sempre, non tutti vengono esplorati con la profondità necessaria. Rispetto a BS, per esempio, si nota immediatamente la minore profondità del cast di supporto. Comstock è certamente ben analizzato, ma non a fondo e a lungo come Ryan, Atlas o Fontaine di Rapture. La Fitzroy subisce addirittura un trattamento ancora più deludente. A Rapture si interagiva a lungo e in profondità con i png. A Columbia molto meno. E manca tutto il ‘sistema’ Tennebaum-sorelline-Big Daddy, con la loro presenza e incidenza sulla città. Certo, ci sono Elizabeth e Songbird. Ma, come detto, il possente volatile arriverà in scena col contagocce. E con un impatto ridotto sugli altri png. La stessa Elizabeth – ma questa volta dal punto di vista ludico – non ha mantenuto tutte le promesse fatte. Come visto, è un’IA attiva e credibile. Ma lungi dall’essere autonoma e autodeterminante.
L’intero sistema di crescita e di amministrazione risorse, come spiegato, è decisamente superficiale e non consente mai di avvertire una vera – e galvanizzante – sensazione di progresso. Gli stessi Vigor sono tanti e vari. Ma, a conti fatti, si rivelano in buona parte ‘marginali’: alcuni li userete davvero di rado.
La profonda analisi sociale-politica-morale di Columbia (e degli Usa), infine, a metà gioco viene bruscamente accantonata. Certo, entrano in gioco altre – potentitissime – tematiche. Ma lo sbalzo è forte, poco armonico e a lungo poco convincente.
Sembra, insomma, che Levine & co. abbiano messo così tanta carne al fuoco da non poter amministrarla fino in fondo e davvero con completezza. Capibile. Ma peccato.