Uncharted 3: quando è lo script che comanda

Uncharted 3: quando è lo script che comanda

Con il terzo capitolo della saga, le vicende dell’avventuriero raggiungono livelli di intensità, qualità e divertimento assolutamente di prim’ordine: recensione di uno dei baluardi del mondo dei videogiochi intesi principalmente come cinematograficità. Nei prossimi giorni pubblicheremo anche il videoarticolo.

di pubblicato il nel canale Videogames
 

Salta, scala, corri e osserva: in una parola, esplora!

Buona parte del gameplay di Uncharted si basa sull’esplorazione di siti archeologici e strutture fatiscenti o consumate dal tempo. Al controllo di Nathan, insomma, dovremo accedere a luoghi dimenticati o talmente consumati da rendere improbo entrarvi.

Il tutto avviene attraverso spettacolari sessioni di platform/puzzle, che – più che mettere a dura prova i nostri riflessi (difficilmente bisognerà calcolare i salti con precisione, visto che Drake vanta mani estremamente prensili) – ci chiederanno di aguzzare la vista, in cerca dell’appiglio adatto a proseguire. Occasionalmente, ci saranno anche assi da spostare o leve da azionare, per procedere. Oppure dovremo ‘soccorrere’ i nostri compagni, liberando loro la via. Talvolta ci imbatteremo in ‘antichi’ puzzle, creati per proteggere l’accesso ai luoghi più segreti delle strutture che esploreremo: tramite essi individueremo passaggi segreti, o otterremo l’ingresso in cripte dai contenuti preziosi. Quasi tutto, in questo impianto avventuroso (nel vero senso della parola), funziona davvero a meraviglia.

Gli scenari sono studiati con sapienza e realizzati con maestria. Il senso di verticalità di alcune strutture da scalare è semplicemente impressionante, e la sensazione di precarietà sarà avvertibile anche dai nostri divani. Particolare cura è stata posta nel ‘dipingere’ gli edifici diroccati: essi trasuderanno letteralmente il peso del tempo, mostrandosi (e risultando!) cadenti come è giusto che sia. Proprio la loro ‘fragilità’, costituisce un ‘fattore’, dal punto di vista ludico: la loro struttura consumata offre appigli in quantità e, in occasione di cedimenti improvvisi (questi ultimi sono davvero numerosi: Nathan non ha poi tutta questa fortuna, quando sceglie dove poggiare i piedi!), dà iniezioni di adrenalina ed emergenza in serie. In generale, le fasi di ‘scalata’ si susseguono divertenti e godibili, ottimamente ritmate. Quasi sempre, poi, risultano anche eccellentemente dosate, visto che dopo un po’ di ‘scarpinata’ dovremo fermarci a combattere o a risolvere un enigma.

Va anche sottolineato quanto le locazioni in cui ci si muove siano terribilmente evocative: ciascuno scenario, infatti, comunica esattamente le sensazioni che deve e quelle che pervadono i personaggi che lì agiscono. Sono i colori, le polveri, i rumori, la luce e le movenze richieste per attraversarli. In particolare, le sezioni nel deserto saranno qualcosa di indimenticabile.

Anche i puzzle – non numerosissimi, ma posizionati bene e credibilmente –, lasciano a bocca aperta. Essi infatti, oltre a essere un doveroso ‘cambio di ritmo’ durante le esplorazioni, sono ottimamente studiati: da un lato paiono tutto sommato credibili (come ‘partoriti’ da uomini di secoli fa), dall’altro sono logici (la soluzione non è mai qualcosa di assurdo e impensabile), senza diventare né scontati né frustranti. In più il quaderno degli appunti di Nathan è sempre fonte – preziosa e realistica – di indizi.

In generale, curiosare per il mondo di Uncharted è un’impresa godibilissima: gli scenari sono tutti all’altezza di un prodotto ‘tripla A’, con una cura del dettaglio spaventosa e scelte cromatiche – molto ‘sparate’ – che danno al gioco un look ricco e pomposo. A supporto, c’è il comparto delle animazioni dei personaggi – Nate in primis – che lascia di stucco: nessuna incertezza e tanto realismo, per quasi ogni atto del nostro eroe. Con la grande novità della relatività delle sue pose: infatti, come accade nella realtà, il personaggio principale si muove in relazione con lo scenario: passando accanto a un muro, per esempio, potrà appoggiarvici la mano. Tutto viene calcolato in tempo reale. E con questo piccolo ‘dettaglio’, si raggiungono livelli di immersività altissimi. Positiva anche l’assenza del ‘tasto corsa’: Nate si muoverà automaticamente alla velocità richiesta e a cui potrà. Deve aggirarsi in un museo? Camminerà con circospezione. Deve fuggire da un’onda di proporzioni gigantesche? Correrà a perdifiato. Lo dovrà fare dopo essere caduto da 10 metri? Proverà a correre, ma camminerà zoppicando.

Menzione doverosa anche per i virtuosismi tecnici (con le ripercussioni sul gameplay) connessi alle sezioni giocate con il protagonista vittima di sostanze allucinogene: il mondo è sfuocato e ci ruota attorno, i nemici sono più coriacei ed efficaci, il nostro equilibrio ancora più precario, ogni mossa richiede uno sforzo superiore.

Ci sono anche degli aspetti migliorabili, come ovvio, nell’impianto di esplorazione. Ma anch’essi, anche i più fastidiosi, non ne intaccano l’eccellenza.

Per prima cosa, l’orientamento difficoltoso. Come detto, i nostri compagni – anche per motivi ‘recitativi’ – sono un ‘fattore’ importante, durante tutto il gioco. Eccoli allora, prodighi di consigli, sulla strada da percorrere o sull’asse da rimuovere per avanzare. Il problema è che il giocatore non sarà sempre in grado di individuare il punto di rilievo segnalato dal NPC. Anche nelle situazioni in solitaria, poi, capiterà di ‘perdere di vista’ la retta via. E non si tratta di circostanze ‘misteriose’, dove l’esplorazione e l’ingegno dovrebbero essere chiamati in causa, ma di occasioni ‘lineari’, rese poco leggibili dalla ricchezza dello scenario o dalla posizione contingente delle telecamere. Qualora si rimanesse troppo a lungo ‘bloccati’, comparirebbero dei suggerimenti (attivabili con il tasto ‘su’ del D-Pad), ma anch’essi – per via del posizionamento delle telecamere – possono non risultare del tutto chiarificatori. Manca, insomma, un ‘sistema di puntamento’ (come quello tipico della saga di Dead Space, per intenderci. Per non essere così invasivi, si poteva comunque ricorrere a qualche espediente creativo. Che so: in prossimità di un oggetto di rilievo, Drake avrebbe potuto tenere la testa voltata nella direzione chiave, a prescindere da dove lo si facesse correre. Una soluzione semplice, già vista e soprattutto efficace). In questo modo – nella sostanzialmente eccellente parte di esplorazione, è bene ricordarlo -, capiterà di ‘bloccarsi’, con Sullivan (o chi per esso), intento a ripeterci “Forza ragazzo, spostiamo quella trave”. Un po’ surreale, come situazione.

Un altro piccolo appunto, nella gestione degli enigmi. Laddove la consultazione del diario di Drake risulta spesso macchinosa: bisogna ‘uscire’ dall’enigma in corso, ‘entrare’ nel diario, consultarlo, ‘uscirvi’ e ‘rientrare’ nel puzzle. Ma pare evidente come queste imperfezioni, siano ‘appunti’ mossi a un gioco eccellente, in cui le fasi di esplorazione scorrono fluide, ben ritmate e soprattutto divertenti.

Questione Quick-Time Event: molte situazioni concitate (soprattutto le fughe), vengono gestite manualmente dal giocatore, con controllo totale sulla sessione. Ci sono però dei momenti, in particolare a seguito di crolli o esplosioni, in cui Nathan si muoverà da solo, andando a completare evoluzioni acrobatiche per salvarsi. In questi frangenti, troppe poche volte l’utente sarà chiamato in causa. Una maggiore implementazione di QTE avrebbe certamente aumentato l’interattività e le scariche di adrenalina, perfettamente consone ai momenti più concitati dell’avventura di Drake.

 
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