Watch Dogs 2: recensione e confronti grafici

Watch Dogs 2: recensione e confronti grafici

Dal punto di vista ludico Watch Dogs 2 migliora sotto molti punti di vista l’esperienza offerta dal precedente capitolo. Le attività a disposizione del giocatore sono più numerose, la mappa open world risulta molto diversa dal punto di vista estetico, ma anche considerevolmente più ampia, viva e pulsante rispetto a quella di Chicago. Purtroppo questi passi in avanti non sono stati sostenuti da un’altrettanto soddisfacente qualità del contesto narrativo e dei personaggi principali con i quali si interagisce.

di , Davide Spotti pubblicato il nel canale Videogames
Ubisoft
 

Questione di hype

Se prendiamo come riferimento i dati di lancio, Watch Dogs 2 non sembra aver avuto un avvio entusiasmante rispetto al predecessore. E sebbene nelle scorse settimane i prodotti tripla A abbiano evidenziato un’apparente crisi sistemica, con vari titoli in flessione rispetto al passato, Watch Dogs 2 ha dovuto soprattutto fronteggiare la delusione patita da una parte del pubblico con l’uscita del primo capitolo. Tralasciando la celebre polemica sul downgrade grafico, che peraltro contribuì non poco ad alimentare una campagna denigratoria pesante nei confronti di Ubisoft, molti giocatori criticarono la nuova proprietà intellettuale su più fronti, lamentando una struttura open world non particolarmente ricca e una trama poco convincente, anche a causa dello scarso carisma posseduto dal protagonista Aidan Pearce.

Watch Dogs 2 ha dovuto soprattutto fronteggiare la delusione patita da una parte del pubblico con l’uscita del primo capitolo
Esattamente com’era accaduto agli esordi di Assassin’s Creed, Ubisoft stava cercando di porre le basi per la creazione di un franchise duraturo, nella speranza di poterlo poi rendere un appuntamento fisso, magari alternandolo alle avventure di Templari e Assassini. Il primo Watch Dogs cercava di immergere il giocatore in un mondo costantemente connesso, dominato sotto quasi ogni punto di vista dalla rete. Una realtà in cui il tema della raccolta e manipolazione dei dati sensibili veniva posto al centro di un processo controverso, al soldo di corporazioni senza troppi scrupoli e dominato da giochi di potere. Dall’altro lato della barricata si ergeva il sottobosco degli hacker, gli unici in grado di rivelare all’opinione pubblica, ormai assuefatta dal ctOS, i pericoli nascosti alle spalle del sistema. In questa cornice andavano a porsi le meccaniche di manipolazione dell’ambiente circostante e le tecniche stealth concretizzate con il supporto della tecnologia informatica.

Le potenzialità per avere tra le mani un titolo di alto livello c’erano tutte, eppure il risultato finale non fu all’altezza dell’hype che si era generato fin dal primo annuncio. Problemi che nascevano soprattutto dai confronti imbastiti con altri illustri esponenti del genere open world. La pietra di paragone più ovvia era naturalmente Grand Theft Auto V, che Rockstar aveva fatto esordire su PlayStation 3 e Xbox 360 non molti mesi prima. Senza dubbio si trattava di un cliente particolarmente ostico con il quale entrare in partita, non solo per l’ampiezza della mappa, ma soprattutto a causa della profondità e della ricchezza di contenuti che accompagnava l’opera di Rockstar sotto praticamente ogni punto di vista.

Ad oltre due anni di distanza, Ubisoft ha provato a correggere il tiro su alcune delle componenti meno riuscite del precedente capitolo, andando ad arricchire ed ampliare la nuova ambientazione, ma cercando al contempo di offrire un numero di attività più convincente nell’ambito di un contesto open world più esteso, ricco e pulsante.

 
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