Super Mario Bros., una copia da 114mila dollari: è il gioco più costoso mai venduto

Una rarissima copia di Super Mario Bros. è stata battuta all'asta per la modica cifra di 114.000 dollari: è la più alta in assoluto. La copia del gioco rilasciato su NES (1985) presenta alcune peculiarità che ne aumentano il valore, ma sono le sue perfette condizioni a impressionarci
di Pasquale Fusco pubblicata il 14 Luglio 2020, alle 15:21 nel canale VideogamesNintendoSuper Mario
64 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoSe aumenti la mia ricchezza dell'1% e lo stesso fai a Bezos... la proporzione rimarrà sempre la medesima...
Essere ricchi non è un problema finchè quel denaro viene effettivamente speso (o investito) in attività che muovono l'economia reale.
Se invece ci si limita a fare tipo Paperon de Paperoni e accumulare in una mega cassaforte sono solo pezzi di carta colorati.
Non è un calcolo percentuale, è assoluto, se aumenti di 10 dollari l'entrata mensile procapite, in Eritrea l'avrai raddoppiata, Bezos o un europeo medio manco se ne accorgerebbero.
Nessuno dei famosi 100 ricconi ha un patrimonio tesaurizzato (che è il termine storico, quello attuale utilizzato in economia non lo ricordo più
Nessuno dei famosi 100 ricconi ha un patrimonio tesaurizzato (che è il termine storico, quello attuale utilizzato in economia non lo ricordo più
Quell'aumento di 20 dollari è il frutto del capitale investito da Bezos, se non ha un tornaconto, i 10 dollari, non ha motivo di investire, e alla fine mancano anche i 10 dollari dell'Eritreo.
E prima di tutto per questioni concettuali: se quei 20 dollari li ottieni con gli investimenti di Bezos, se li tiene tutti lui. Un conto è trovare modi per rendere i poveri dei benestanti, un altro è pensare di usare i soldi di un privato per farci quello che uno vuole.
A mio avviso il ragionamento dovrebbe partire da un'analisi della situazione attuale: è accettabile che ci sia chi muore di fame e chi può permettersi di buttare centinaia di migliaia di dollari per spese "superflue"?
Per me non è accettabile, a maggior ragione per il fatto che questa differenza di condizione è determinata, per la componente maggiore, dal luogo in cui nasci, non da colpe o meriti specifici (e non sto negando il merito di chi ha giustamente riscosso un successo imprenditoriale).
Sulla base di questo poi, posso immaginare che esistano svariati modelli socio-economici alternativi al capitalismo/consumismo da cui attingere.
Mi rendo conto che modificare un modello economico così fortemente radicato in noi, sia pesante, ma non trovo sostenibile l'alternativa di dire "chissenefrega, fatti loro". Anche perchè lo abbiamo visto, possiamo fare molto presto a diventare a nostra volta "loro"...
poco sopra ho spiegato un po' meglio la questione, che non sia accettabile credo si possa essere tutti d'accordo, più o meno, sono gli interventi per ridurre questa differenza che possono essere oggetto di visioni differenti.
Il primo mondo ha fondato la propria storia sulla ricerca del miglioramento, dell'affermazione personale, se tu tarpi questo istinto blocchi l'apparato, trasformi tutto nella mera sopravvivenza (tipo comunismo reale), devi indirizzarlo perchè non sia solo rapacità.
Il primo mondo ha fondato la propria storia sulla ricerca del miglioramento, dell'affermazione personale, se tu tarpi questo istinto blocchi l'apparato, trasformi tutto nella mera sopravvivenza (tipo comunismo reale), devi indirizzarlo perchè non sia solo rapacità.
Sono d'accordo, in linea generale, ma non condivido il fatto che una maggiore tassazione della componente "più ricca" porti al blocco dell'affermazione personale di quest'ultima e che da lì si vada dritti verso il comunismo reale.
Va indirizzato certo ed è proprio quello che intendevo: che poi questo derivi dalla redistribuzione o da qualsiasi altro modello che si possa rivelare efficace ben venga, quello che deve essere chiaro è l'obiettivo.
E prima di tutto per questioni concettuali: se quei 20 dollari li ottieni con gli investimenti di Bezos, se li tiene tutti lui. Un conto è trovare modi per rendere i poveri dei benestanti, un altro è pensare di usare i soldi di un privato per farci quello che uno vuole.
Mhhh...credo ti manchi un passaggio basilare, semplificando tantissimo, mettiamo caso che l'investimento di Bezos sia in una piantagione di banane, quell'investimento permette di creare lavoro e ne beneficia quindi anche il lavoratore eritreo, hai creato ricchezza, quei 20 dollari, di cui 10 andranno per lo stipendio, e 10 in tasca a Jeff.
L'obbiettivo deve essere che la divisione sia equa, fino ad ora, guarda caso sull'Africa, ma non solo, sono quasi sempre 19 dollari ad andare in tasca ad un Jeff qualsiasi e 1 in tasca al lavoratore. Se tu togli a Jeff il desiderio innato e la possibilità di guadagno dell'investire, i soldi restano tesaurizzati e l'eritreo lo prende nello stoppone.
Va indirizzato certo ed è proprio quello che intendevo: che poi questo derivi dalla redistribuzione o da qualsiasi altro modello che si possa rivelare efficace ben venga, quello che deve essere chiaro è l'obiettivo.
In linea teorica sarei d'accordo, nella realtà non sono certo che il ricavato della tassazione possa essere meglio investito da un'entità statale, cui manca lo "slancio" innato a produrre ricchezza. Nell'economia pianificata comunista l'appiattimento, la mancanza di innovazione e di ricerca, erano il risultato del fatto che si stroncassero le ambizioni individuali, che ci si accontentasse di arrivare al compitino: prendiamo ad esempio la Guerra. Evento catastrofico, assolutamente, ma la guerra, il desiderio di prevalere sull'altro, è stata il più grande motore all'innovazione in decine di campi, con ricadute sul nostro vivere moderno (e relativamente sicuro), il Progresso è stato, in larga parte, prodotto dal desiderio di affermazione di un singolo individuo o di un gruppo, senza quella scintilla dormiremmo ancora nelle grotte coltivando le carote per la sussistenza.
Sono d'accordo con quello che hai scritto poco sopra in risposta a cronos1990, ma è il tuo continuo far riferimento al comunismo, che non mi trova d'accordo.
Il capitalismo sociale, o qualuque altro nome gli si voglia dare, non abbatte il desiderio di crescita e affermazione personale. Non è in discussione la produzione di ricchezza, va messo in discussione il fine.
Il capitalismo sociale, o qualuque altro nome gli si voglia dare, non abbatte il desiderio di crescita e affermazione personale. Non è in discussione la produzione di ricchezza, va messo in discussione il fine.
Diciamo che il mio riferimento al comunismo è per il fallimento della pianificazione economica egualitaria a guida statale, così come, per par condicio, il corporativismo fascista, ho cercato di esulare dal contesto politico, vedi la mia citazione come mero giudizio economico (da operetta, mica sono un economista), non politico.
Il capitalismo sociale necessita di due presupposti per funzionare e sostituire il capitalismo neoliberista e aggressivo, il primo è che si crei un movimento di opinione che spinga e solleciti chi investe a comportamenti e obbiettivi comuni in ambito sociale, ecologico, salutare, ecc, il secondo è che organismi dotati di potere effettivo abbiano gli strumenti per intervenire dove certe condizioni non siano rispettate, che il Bezos o chi per lui, qualora ad esempio corrompa il Governo locale per farsi le regole da solo, possa essere perseguito e punito. Al momento il punto uno è agli albori, il punto due lasciamo perdere.
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