Perché Breath of the Wild è uno dei migliori Zelda di sempre
Dopo aver completato il lunghissimo nuovo gioco per Nintendo Switch e Wii U, Stefano, grande esperto della serie, ci racconta tutto sui giochi con Link, ci svela i retroscena e ci fornisce la sua prospettiva su come la serie è cambiata nel corso del tempo.
di Stefano Carnevali pubblicato il 24 Aprile 2017 nel canale VideogamesNintendoSwitchWii U
Gioco dell’anno ma…
A mio parere BOTW è candidato con decisione al titolo di gioco dell’anno (e non solo) e balza sul podio degli Zelda migliori di sempre. Ci sono però, anche in un capolavoro di questo calibro e dimensioni, elementi perfettibili o meno riusciti, di cui è opportuno rendere conto.
La prima sottolineatura riguarda una complessiva mancanza di epicità. Le cose da fare sono tante, la drammaticità degli eventi è intensa… ma nessuna delle imprese che Link dovrà compiere sarà realmente leggendaria nel suo svolgersi.
Nell’open world avremo tanto da scoprire e combattere, ma nessuno degli scontri che affronteremo, per quanto impegnativo, trasmetterà la sensazione di aver spostato gli equilibri nel mondo di gioco (le Notti della Luna rossa ripopolano ciclicamente Hyrule di mostri: scelta saggia, per evitare di rendere il Regno vuoto, ma dare al giocatore la possibilità di qualche vittoria definitiva contro rivali particolari sarebbe stato necessario).
E mettere in scena una vera e propria guerra, durante le fasi finali in prossimità del Castello di Hyrule, magari coinvolgendo gli altri NPC in modo più marcato di quanto effettivamente avvenga avrebbe reso BOTW molto più leggendario!
In particolare, però, sono le boss fight a deludere: poche, anonime e tutto sommato facilmente comprensibili, quanto a tattica da adottare. Marchio di fabbrica di Zelda era avere nemici ‘finali’ molto carismatici, da affrontare tramite strategie complesse da capire e realizzare.
Non posso non ravvisare una mancanza di epicità e solennità nelle sfide ‘centrali’ della storia, quelle connesse ai dungeonUn altro sacrificio doloroso riguarda i dungeon. Se in tutti gli altri capitoli della saga, il girovagare nell’open world era quasi un intermezzo prima di affrontare il labirinto sotterraneo successivo - dove mettere in pratica quanto imparato sin lì, ingegnarsi per sfruttare i nuovi oggetti e spremere le meningi ‘contro’ enigmi sempre più complessi -, in BOTW i dungeon sono solo 4, sono facoltativi e non sono nemmeno dei veri dungeon (bensì bestioni meccanizzati da sottrarre al controllo di Ganon).
L’esperienza all’interno delle quattro bestie sacre è assolutamente più lineare, semplice e breve rispetto agli storici livelli sotterranei di ogni altro Zelda.
Certo, ci sono comunque momenti in cui si dovrà pensare, ci sono dinamiche da comprendere e qualche scontro interessante da combattere… ma tutto fila via in modo fin troppo facile, senza situazioni a tema/connesse a oggetti particolari.
Semplificare è stato necessario per più motivi: l’impegno nella creazione di un open wordl così enorme, la totale libertà nell’approccio all’avventura, i poteri della Tavoletta posseduti da subito, le capacità donateci dagli spiriti protettori dei quattro guardiani acquisibili in modo facoltativo e in ordine libero, hanno richiesto una semplificazione degli enigmi e dei dungeon stessi.
Personalmente sono ben contento di dedicarmi maggiormente all’open world - e sono convinto che questo sia anche lo spirito con cui Miyamoto abbia originariamente intenso la saga di Zelda, oggi ‘centrato’ più che mai -, sono soddisfatto della grande libertà che il gioco lascia all’utente… ma non posso non ravvisare una mancanza di epicità e solennità nelle sfide ‘centrali’ della storia, quelle connesse ai dungeon.
I 120 sacrari - mini dungeon sparsi per tutta Hyrule, in cui si devono superare prove di logica, destrezza, combattimento, ricevendo in cambio armi, abiti e sfere della Dea Hylia (4 di queste ci regalano un contenitore di cuori in più o una tacca addizionale alla barra del vigore) - non bastano: sono sfide accattivanti e, alle volte, anche impegnative. Ma restano sconnessi tra loro, svincolati dalla trama e del tutto facoltativi.
Ci sono infine tre assenze pesanti nell’immaginario di BOTW. La prima è quella dello Skull Kid. Un personaggio così misterioso, triste e carismatico avrebbe trovato il suo posto alla perfezione nell’immaginario così ‘denso’ di questo diciottesimo Zelda. Tanto più che l’inquietante scenario dei Boschi Perduti viene riproposto anche in questa Hyrule.
La seconda è quella di Ganondorf, ma è più comprensibile: viste le caratteristiche del tutto peculiari della Calamità Ganon, sarebbe effettivamente complicato dare una parte anche al Ladro demoniaco (la sua assenza, tra l’altro, apre tutta una serie di ulteriori speculazioni su dove collocare BOTW nella continuity complessiva…).
La terza è quella della Triforza. Da sempre i ‘sacri triangoli’ di potere, saggezza e coraggio erano centrali nella lotta tra bene e male, in quel di Hyrule. In BOTW, invece, per quanto la Triforza venga riproposta in tutte le insegne, i monili e le armi della famiglia reale, non c’è nessuna ricerca di questi artefatti. Sembrerebbe, anzi, che essi siano già in possesso della famiglia reale e che sia compito della Principessa riuscire ad ‘attivarli’ in modo spirituale, per poterne sfruttare il potere contro la Calamità.