Recensione DooM: un gradito ritorno al passato
Abbiamo passato qualche giorno insieme al nuovo DooM di id Software e Bethesda e, in particolar modo, abbiamo completato la campagna single player. DooM è sorprendente per certi versi, offre qualcosa che probabilmente alla vigilia nessuno si aspettava, nella misura in cui riesce a citare e a reinventare il gioco che nel 1993 cambiava per sempre la storia dei videogiochi.
di Rosario Grasso pubblicato il 19 Maggio 2016 nel canale VideogamesBethesdaDooM
Only one man stands between Hell and Earth
Il 2004, lo sanno bene i videogiocatori con qualche anno in più sulle spalle, è un anno cruciale nella storia dei videogiochi. Tutti gli appassionati attendevano con ansia due giochi in particolare: Half-Life 2 e DooM 3. L'attesa era incredibilmente spasmodica, perché Gabe Newell da una parte e John Carmack dall'altra promettevano cambiamenti epocali e per la parte tecnologica e per la parte del gameplay. Entrambi i giochi furono poi effettivamente sconvolgenti sul piano tecnico, per motivi diversi, ma Half-Life 2 ebbe più considerazioni per il suo gameplay. DooM 3, però, andrebbe rivalutato da questo punto di vista, come vedremo nel corso di questo articolo.
Ma ciò che mi preme sottolineare in questo momento è proprio quel tipo di attesa, quell'hype che diventò presto incontrollabile, come se i giocatori sapessero in cuor loro non solo che stavano per vivere uno sconvolgimento importantissimo per il loro media preferito, a livello di nuove forme di intrattenimento e di nuove forme di narrazione, ma soprattutto che probabilmente un altro vertice del genere non sarebbe stato più toccato nelle successive evoluzioni del media. Ricordo ancora quando delle alpha non autorizzate cominciarono a diffondersi per entrambi i giochi: potevi anticipare la rivoluzione, e già quello lo rendeva per te un gran momento.
Bene, quel tipo di attesa oggi non esiste più. I giochi vengono annunciati praticamente a ridosso dei rilasci (mentre Half-Life 2 e DooM 3 si fecero attendere e furono rimandati diverse volte) e poi, più semplicemente, c'è troppa roba per poter aspettare con quel tipo di ansia un solo titolo. Per questi motivi il nuovo DooM non è stato trascinante come il precedente a livello di hype: anzi, se ne è cominciato a parlare in maniera insistente solo a rilascio avvenuto, quando i giocatori si sono resi conto che riproponeva quel fascino che abbiamo provato a trasmettere nell'abstract di questo articolo e che analizzeremo nel dettaglio nel corso della recensione.
E pensare che Bethesda non ha fornito le copie per le recensioni prima del day one, come prassi consolidata nell'industria dei videogiochi. Quando questo avviene solitamente c'è qualcosa che non va nel titolo, ed è meglio che la community ne resti all'oscuro il più a lungo possibile. Anche il sottoscritto si era preoccupato, infatti, tirando un lunghissimo ed entusiastico sospiro di sollievo già dopo un paio di ore di gioco.
DooM 2016 è un omaggio a DooM 1993, nel senso che id Software ha rivisto la tecnologia ai tempi sviluppata da John Carmack per DooM 3 per rendere possibile un tipo di gameplay molto simile a quello del 1993, e anzi allo stesso tempo evolverlo nella maniera opportuna. DooM 3, infatti, prese in contropiede molti giocatori perché da gioco frenetico diventava gioco immersivo e ragionato, soprattutto perché l'esoso sistema di illuminazione concepito da Carmack, insieme al livello di dettaglio da lui voluto per mostri e ambienti, imposero di ridurre la quantità di mostri da affrontare.
DooM 2016 è diverso, principalmente perché adesso id Software ha voluto recuperare l'approccio storico. Ovvero, il gioco è basato su combattimenti con pool di mostri composti in maniera variegata. Sostanzialmente, alterna fasi di esplorazione, striminzite (o nulle) fasi di narrazione e furiosi combattimenti in cui bisogna affrontare contemporaneamente mostri con caratteristiche diverse, avendo quindi la sensibilità di differenziare all'occorrenza il proprio stile di combattimento. È un concetto, quindi, molto simile a quello del gioco originale, se non fosse che qui bisogna muoversi ancora di più, principalmente per via dell'introduzione del doppio salto.