Rise of the Tomb Raider: il ritorno di Lara Croft
Il reboot di Tomb Raider ha rappresentato una delle ultime grandi opere della scorsa generazione di console. Crystal Dynamics era riuscita a riscrivere un personaggio iconico come Lara Croft, Il titolo del 2013, infatti, aveva saputo resettare tanto il background narrativo di Lara, così come la giocabilità tipica della serie.
di Stefano Carnevali pubblicato il 11 Novembre 2015 nel canale VideogamesMicrosoftXboxSquare EnixKoch Media
Vette e baratri di tecnologia
Il comparto tecnico di Rise è convincente, anche se non strabiliante. Credo che i suoi limiti, al solito, siano dettati dal fatto che Crystal Dynamics abbia voluto fare uscire il titolo anche su Xbox 360. Gli scenari come detto, oltre a essere ben studiati, sono spesso sontuosamente realizzati, con giochi di luce e ‘verticalità’ che emozionano. Sia le location siriane, sia quelle siberiane godono di un trattamento adeguato. Personalmente, sono stato particolarmente impressionato dagli ambienti interni, soprattutto per quelli sviluppati in altezza. Molto buoni anche gli effetti acqua/bagnato.
Molto bene per le animazioni dei corpi: Lara, ma anche i nemici, si muovono con credibilità e fluidità, producendosi in un numero davvero elevatissimo di azioni diverse. Non altrettanto si può dire della mimica facciale dei personaggi - anche della stessa Lara -: per quanto ci si attesti su livelli di buon qualità, siamo ben lontani dai picchi di eccellenza toccati anche di recente, da altri titoli che hanno come riferimento Xbox One.
Ho volutamente lasciato per ultimo il discorso tombe. Molti utenti, completato il gioco del 2013, si sono lamentati di una certa debolezza della componente di esplorazione delle tombe, con il conseguente ridimensionamento degli enigmi. Rise propone, in questo ambito, un deciso passo in avanti (o all’indietro, se si pensa alla tradizione della serie).
Le tombe ci sono e rappresentano una buona sfida, sia ‘di scalata’, sia di logica. Certo - come tutto il resto del gioco - non sono mai caratterizzate da una difficoltà complessiva molto elevata, ma si mantengono agili, divertenti e sufficientemente articolati e impegnative. Contengono anche retribuzioni gustose, tra cui abilità ‘esclusive’, che Lara apprenderà immediatamente, dopo aver letto antichi manuali bizantini.
Prima di lasciarvi al commento finale, vorrei spendere qualche riga per abbozzare (MA SOLO ABBOZZARE) un confronto con Uncharted, il principale ‘avversario’ (soprattutto per via delle politiche commerciali di Microsoft) del nuovo corso di Tomb Raider.
A livello ludico, non ci si può nascondere, il reboot delle avventure di Lara Croft ha pescato a piene mani da Uncharted. Soprattutto per quanto riguarda la componente atletico-platformistica e, in qualche modo, per l’approccio stealth ai combattimenti. La marcia in più del prodotto Crystal Dynamics è data dalla struttura esplorativa semi-open world, davvero ben riuscita in questo Rise.
A livello di setting narrativo - per quanto entrambe le saghe mettano in gioco avventure incentrate su misteri storici tutto sommato riconducibili alla realtà - abbiamo un Uncharted più impegnato (visto che spesso si misura con miti e personaggi celebri) e un Tomb Raider maggiormente votato al fantastico.
In termini di caratterizzazione dei personaggi, infine, mi pare di poter dire che il prodotto Naughty Dog abbia ancora qualche punto di vantaggio, per quanto visto sin qui. Le trame di Uncharted risultano meno lineari e prevedibili ma, soprattutto, fa la differenza la caratterizzazione dei personaggi: tutto il cast che ruota attorno a Nathan Drake è spesso memorabile, mentre in Tomb Raider (maggiormente in Rise, rispetto al capitolo del 2013) Lara spadroneggia, relegando comprimari e antagonisti un po’ troppo sullo sfondo.