Killzone 3: l'autarca degli sparatutto
Killzone 3 è uno degli sparatutto più convincenti degli ultimi anni. Tecnicamente sontuoso (anche online), sa regalare un discreto numero di ore di puro divertimento. Gode di un immaginario strepitoso, purtroppo non supportato da una trama all’altezza, e di antagonisti indimenticabili, tristemente affiancati da ‘eroi’ piatti e scontati.
di Stefano Carnevali pubblicato il 07 Marzo 2011 nel canale VideogamesOcchi rossi! Occhi rossi!
Il principale limite di Killzone 3 va individuato nei suoi protagonisti e nelle loro vicende.
Se gli Helgast risultano una delle creazioni videoludiche di maggiore impatto degli ultimi anni, gli ISA – di contro – sono di un piattume sconcertante: Sevchenko (aldilà della discutibile assonanza di cognome con un grande calciatore ucraino) è il classico uomo d’azione, pronto a sacrificare tutto sé stesso per la causa. Ligio al dovere ma capace del guizzo ‘estremo’. Rico – clone massiccio di Will Smith – è invece la controparte aggressiva e impulsiva di Sev: armato di mitragliatrice leggera, possente e rozzo, ogni volta che si muove fa un danno o un massacro. Anche se è dotato di gran cuore. Il Capitano Narville è il ‘solito’ ufficiale che, per mille mila scrupoli, continua a impartire ordini improntati alla prudenza. Ordini che, se non contravvenuti dall’intraprendenza dei suoi sottoposti, causerebbero più volte la disfatta degli ISA. Narville, comunque, è anche uomo d’azione e, quando ‘decide di lasciarsi andare’, risulta combattente valido. In ogni caso, siamo di fronte a una serie di personaggi che più stereotipata non si può.
E ancora: le vicende degli ISA sono trattate con superficialità disarmante: passano mesi e mesi nascondendosi nella natura ostile di Helghan, braccati da uno degli eserciti più potenti della storia, e non ci viene detto nulla di come queste settimane durissime trascorrano. Nessun vero ‘rapporto’ col pianeta, nessun resoconto degli sforzi quotidiani. Semplicemente i ‘nostri’, vengono catapultati di emergenza in emergenza. E anche la loro reazione lascia basiti: di fatto sono stati abbandonati dalla Madrepatria, ma mai un dubbio, praticamente nessun crollo. Sempre solidi e pronti a combattere, a trovare l’ennesimo stratagemma per mettere nel sacco il soverchiante nemico. In una parola: piatti.
Di contro, abbiamo la costante esplorazione dell’universo politico Helgast. L’entourage di Visari fa la propria trionfale apparizione, in KZ3. Alcuni caratteri risultano memorabili e profondi. Altri lasciano intuire belle potenzialità, ma scompaiono presto di scena. In generale, però, anche i più riusciti, soffrono di una drammatica prevedibilità. Infine, un altro settore di trama e background che colpevolmente Guerrilla non sfrutta è quello che avrebbe potuto dedicare ai civili: in KZ2 e KZ3 si combatte in città devastate, si combatte per e contro un popolo intero. Un popolo che, per secoli, ha subito le più dure privazioni. Un popolo usato come burattino dalla propria elite politica, ma che è anche il fine ultimo per cui questa elite, di fatto, agisce. Un popolo, però, che Guerrilla tiene totalmente assente! Tutti si rivolgono agli Helgast ma, a parte i militari, non si vedrà mai nessun Helgast in KZ3!
In ogni caso, il carisma e la precisione con cui Guerrilla tratteggia il funzionamento dello Stato e delle forze armate Helgast, supera di gran lunga l’impegno dedicato alla descrizione degli ISA. Gli Occhi rossi sono i veri protagonisti di KZ. Di tutta la saga. E a buon diritto, mi viene da dire.
Un popolo con una storia tragica, dei capi spietati, vittima di ogni genere di oppressione e distruzione. A conti fatti, alla fine di KZ2 e KZ3, Helghan risulta la vera vittima delle vicende narrate. E se aggiungiamo a ciò il carisma, la perfetta efficienza militare, la tecnologia, la superiorità fisica, la disciplina e il senso dell’onore dei soldati Occhi rossi, la conclusione non può che portare a una richiesta, da formulare a Guerrilla: vogliamo giocare dall’altro lato della barricata!
Occhi rossi! Occhi rossi!