Gears of War 3: eccellenza senza rivoluzione

Gears of War 3: eccellenza senza rivoluzione

È il momento del responso per l'ultimo capitolo della saga di Gears of War. All'interno della recensione abbiamo sviscerato tutti gli elementi dell'ultima produzione Epic Games.

di pubblicato il nel canale Videogames
Epic
 

Cantami o Musa...

Ci sono le ‘Grandi Saghe’. Siano esse letterarie, cinematografiche o videoludiche. Si tratta di prodotti dotati di grande carisma e originalità. Essi vanno a creare immaginari profondi e complessi. Che non possono venire sviscerati nel ‘tempo medio’ dedicato a un singolo ‘esponente’ del medium prescelto. Le ‘Grandi Saghe’ poi, hanno la caratteristica di far parlar di sé anche – e soprattutto – al di fuori della fruizione concreta del capitolo: tra un episodio e l’altro si continua a discuterne e a rimanere ‘invischiati’ nel loro immaginario. Quasi sempre, poi, queste ‘lunghe storie’, giungono a finali controversi, che mantengono alta l’attenzione (spesso polemica) dei fan, anche a distanza di anni.

Quella di Gears of War è sicuramente una ‘Grande Saga’: 3 ricchi capitoli, un intero mondo studiato e dotato di una storia propria, personaggi indimenticabili, armamenti unici. Come saga videoludica, poi, gode anche dell’irrinunciabile – per qualificarsi come ‘Grande’ – qualità dell’essere divertente. Magari non sempre ineccepibile dal punto di vista della narrazione, ma – per certo – una serie che, assieme a quella di Halo, ha segnato l’esistenza di Xbox.

Con il terzo capitolo, Epic ha promesso una degna conclusione della vicenda. All’altezza, finalmente, anche dal punto di vista narrativo: ci sono stati prospettati, insomma, livelli divertenti e impegnativi, supportati, però, da una storia esauriente e coinvolgente.

Inutile girarci intorno: per essere una saga così importante, quella di GOW non ha mai eccelso dal punto di vista narrativo. Personaggi carismatici, mondo interessante, conflitti duri e senza speranza: sì. Trama profonda, narrazione evoluta e personaggi di spessore: no. Il primo GOW metteva le cose in chiaro: siamo dei soldati, ci sono dei cattivi, dobbiamo massacrarli. Solo sullo sfondo (molto sullo sfondo), la storia del pianeta Sera, della famiglia Fenix, delle Locuste.

Epic aveva cercato di invertire la tendenza nel secondo episodio, coinvolgendo Joshua Ortega (giornalista, scrittore e autore di trame per fumetti più che famosi) nella stesura del ‘copione’. Avendo recepito la ‘sete’ del pubblico – che voleva vivere una ‘grande storia’, oltre che giocare un titolo adrenalinico -, Epic si era data da fare. Purtroppo, i risultati erano stati quantomeno interlocutori. I personaggi di GOW, non uscivano approfonditi dal ‘Capitolo 2’. La trama si ingarbugliava, lasciando fin troppe questioni aperte, lo stile narrativo non era dei più corretti e venivano tralasciati molti spunti interessanti.

Da sempre, l’uomo ha voluto raccontare storie. E, progressivamente, come ci insegna la funzione della figura ‘fittizia’ di Omero, ha cercato di rendere la propria narrazione strutturata, ordinata e completa. Per essere sempre più efficace. Epic Games ha così promesso, con GOW 3, di “dare tutte le risposte”. Di “Andare a fondo della personalità di ciascun personaggio, dedicando loro ampio spazio”. Ce l’ha fatta? La risposta è: NO.

Per prima cosa, nonostante quanto annunciato, tutto ruota sempre e solo attorno a Marcus Fenix. Sarà solo lui il personaggio da impersonare (a parte qualche piccola variazione iniziale). Saranno sempre le sue, le vicende che la ‘regia’ ci consentirà di seguire. Nonostante questo, il buon Marcus non si aprirà a noi. Rimarrà sempre il monolitico eroe. Non importa quante disgrazie lo possano colpire o si riversino sui suoi compagni: Marcus sarà sempre lì. Pronto a massacrare una locusta in più e sempre desideroso di raggiungere il proprio padre. Risultando poco credibile anche nelle esternazioni dolorose.

Le tanto annunciate ‘rivelazioni’, oltre a non presentare nessun colpo di scena sostanziale, saranno assurdamente rinviate per tutto il corso del gioco, per poi essere ‘liquidate’ in un paio di dialoghi conclusivi. In sostanza, la ‘verità’, oltre a essere scontata, sarà anche raccontata in modo più che raffazzonato. Con alcune evidenti forzature (soprattutto quelle atte a giustificare la perdurante aggressività delle Locuste).

Il fatto che i personaggi principali, così ansiosi di fare chiarezza, rinviino costantemente le discussioni chiave, ci fa introdurre un secondo problema narrativo del gioco: la squadra Delta, nonostante si muova su un pianeta devastato da decenni di guerre, nonostante viva una guerra senza speranza fra tre razze, è sicura di uscire illesa.

I commilitoni dei protagonisti muoiono come mosche attorno a loro (e nessuno se ne cura o si stupisce): di fatto, non c’è quasi nessun personaggio non-giocabile che, partecipando a uno scontro a fuoco, ne esca illeso. Invece, Marcus & co. proseguono, indistruttibili. Anche i ‘danni gravi’ che gli occorreranno, saranno sempre auto-inflitti. Tutto ciò banalizza terribilmente morte e dolore. Nemmeno i momenti maggiormente drammatici, così, riusciranno a emozionare sul serio. L’unica vera eccezione sarà la visita a Char, dove si potranno constatare i terribili effetti di un attacco massiccio effettuato col Martello dell’Alba. Si può anche essere ‘generosi’ con le ultime fasi di gioco, quando il senso di ‘urgenza’ della nostra missione si avvertirà piuttosto marcatamente.

Per il resto, tutto il narrato – e ripeto: anche i momenti più ‘duri’ – faticherà a smuovervi. Soprattutto lo scialbo finale, dove verranno pedissequamente confermate le ipotesi più ‘semplici’, su quanto ‘stia dietro’ i tormenti di Sera. Senza comunque arrivare al cuore del mistero-Locuste (origini, ruolo e provenienza di Myrrah etc…), ma dilungandosi reiteratamente nell’illustrare improbabili complotti ‘politici’, intestini alla fazione umana.

Insomma: ‘narrativamente’, Epic ci ha provato, ma ha, in larga parte, fallito. Per fortuna, però, GOW ha anche molto altro da offrire.

 
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