Una donna non vedente può giocare ai videogiochi, grazie alla tecnologia. Ecco come
Un gruppo di ricercatori spagnoli è riuscito a bypassare gli occhi con un dispositivo in grado di trasmettere segnali direttamente al cervello
di Rosario Grasso pubblicata il 11 Febbraio 2020, alle 14:41 nel canale VideogamesBernardeta Gómez è una donna di 57 anni che da diversi anni soffre di neuropatia ottica tossica, una malattia del nervo ottico che ha reso non funzionanti i fasci di nervi che collegano gli occhi al cervello. Lei è completamente non vedente e non è in grado di rilevare neanche i cambiamenti di luminosità.
Grazie a una tecnologia sperimentale messa a punto in Spagna, però, adesso è in grado di avvertire le luci e riconoscere lettere, forme e persone, e perfino di giocare a un videogioco. Questo dispositivo è infatti in grado di trasmettere dei segnali direttamente al cervello di Bernadeta, bypassando gli occhi.
Secondo il MIT Technology Review, Bernardeta Gómez ha iniziato a lavorare con i ricercatori alla fine del 2018. Nei sei mesi successivi, ha trascorso quattro giorni alla settimana a sperimentare e tarare il dispositivo. Il sistema è stato sviluppato da Eduardo Fernandez, direttore della divisione di neuroingegneria all'Università Miguel Hernandez di Elche.
Una fotocamera incorporata in un paio di occhiali che esteticamente ricordano certe soluzioni di Realtà Aumentata registra il campo visivo della donna e lo invia al computer. Quest'ultimo traduce i dati veicolati all'interno della simulazione o del videogioco in impulsi elettrici che il cervello può interpretare e gestire e li inoltra a un impianto cerebrale collegato al cervello. L'impianto stimola i neuroni nella corteccia visiva di Bernardeta, in modo che il suo cervello disponga di informazioni sensoriali.
In questo modo, Bernardeta percepisce una rappresentazione a bassa risoluzione dei suoi dintorni sotto forma di punti e forme chiamati fosfeni che ha imparato a interpretare come oggetti nel mondo che la circonda. La rappresentazione sottostante evidenzia i segnali elettrici del cervello di Bernardeta Gómez. Ogni sezione rappresenta uno degli elettrodi e le linee ondulate all'interno di ciascuna di esse mostrano i segnali emessi dall'attivazione dei neuroni. È il modo di comunicare tra cervello e computer.
La tecnologia è ancora rudimentale e Bernadeta è la prima a sperimentarla. Il team spagnolo, però, ha già in programma di sottoporre il sistema ad altri cinque pazienti. L'obiettivo è quello di ridare la vista a persone non vedenti. E i risultati conseguiti finora sono incoraggianti, se è vero che Bernadeta ha potuto giocare a un gioco simile a Pac-Man direttamente nel suo cervello.
La principale sfida per il gruppo di ricercatori spagnoli è stata la traduzione dei segnali visivi in codice interpretabile dai neuroni. Per poter risolvere questo problema, innanzitutto, è stato necessario capire che tipo di segnale produce la retina umana. E per farlo il gruppo di Fernandez ha studiato il comportamento delle retine di persone morte da poco (continuano a funzionare per sette ore dopo la morte). Le retine sono state collegate agli elettrodi, poi sono state esposte alla luce e infine è stato misurato ciò che colpisce gli elettrodi.
Per perfezionare ulteriormente questa parte interpretativa è stato allestito un software di machine learning che riesca ad abbinare automaticamente l'uscita elettrica della retina a input visivi elementari, nel tentativo di individuare delle corrispondenze che si ripetono e inviare segnali al cervello nella maniera più precisa possibile.
Il tutto funziona tramite un cosiddetto "Utah array", ovvero una matrice di microelettrodi che trasmettono segnali neurali. Essenzialmente fungono da interfacce neuronali che collegano i neuroni ai circuiti elettronici. La matrice quadrata, installata all'interno del visore e collegata al cervello per stimolare i neuroni, è larga pochi millimetri e può essere usata per altri scopi. Altri ricercatori, infatti, riescono in questo modo ad aiutare le persone paralizzate a controllare le braccia robotiche e a digitare i messaggi solo con i loro pensieri.
Sistemi simili a quello realizzato dall'Università di Elche sono gli Argus, già in funzione da qualche anno. Usano fotocamera montata su occhiali, un computer per tradurre i dati sensoriali e un impianto con una serie di elettrodi incorporati nella retina. Si tratta, pertanto, di un sistema che interviene a livello oculare, mentre quello del gruppo di ricercatori spagnoli di Elche opera a livello cerebrale.
Secondo il MIT Technology Review, circa 350 persone usano Argus II oggi, ma la società che commercializza i dispositivi, Second Sight, è passata dalle retine artificiali a sistemi che operano a livello cerebrale perché sempre più persone soffrono di patologie ai percorsi neurali tra gli occhi e cervello, piuttosto che di patologie agli occhi. Proprio l'anno scorso, Second Sight ha portato avanti una ricerca insieme alle Università UCLA e Baylor, testando un sistema che salta la retina e invia informazioni visive direttamente al cervello. Il sistema, chiamato Orion, è simile ad Argus II. Come per il sistema di Fernandez, l'utente ipovedente vede uno schema a bassa risoluzione di fosfeni che interpreta come oggetti.
Lo stesso Fernandez si affretta a sottolineare che si tratta di sperimentazioni giunte ancora in una fase aurorale e non vuole creare false aspettative. Allo stesso tempo, Bernardeta Gómez ha detto che le piacerebbe usare ancora questo dispositivo e che non vede l'ora di sperimentare la seconda versione più rifinita. "Questo è un momento entusiasmante per le neuroscienze e le neurotecnologie, e sento che presto saremo in grado di ripristinare la vista funzionale per i non vedenti", ha detto il Dr. Daniel Yoshor, professore di neurochirurgia presso il Baylor, uno dei punti di riferimento per il settore.
21 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infopenso che se fossi stato un non vedente non avresti fatto la stessa affermazione
Grazie alla redazione che ci regala qualche notizia felice di tanto in tanto. Speriamo spingano forte sulla ricerca in questo campo.
Ti pare poco ? Magari ci vorranno altri 20,30,40 anni, chi lo sa...speriamo che questo sia solo un inizio per fare in modo che anche le persone che purtroppo non hanno, o hanno perso il grande dono della vista, potranno riacquistare un giorno questa facoltà...tu pensa dai videogiochi, al tornare a vedere la realtà ! Voglio crederci con tutto me stesso per loro...dovresti fare altrettanto.
Veramente, non ho capito il senso del tuo commento...
spero ti riferisca ad "invalidità ludica" che non è proprio il massimo nel contesto….
quindi non avete capito che, come ho premesso, questo risultato avrebbe potuto prestarsi per altre necessità, di vita,
anzichè stranamente? partita dai "videogiochi" la necessità di giungere a questo risultato,
spero che sia solo un'occasione e non la norma per così grandi risultati
"beati i ciechi perchè potranno videogiocare"
se sarà solo così il commento vale anche in questa conclusione
e chissene frega?
l'importante è che ottengano il risultato. poi il modo di sperimentarlo, se con videogiochi o con alto è irrilevante.
In effetti sì, anzi dietro ai videogiochi ormai c'è un industria che muove cifre imponenti e che tra produzione e indotto mobilità parecchie persone...
Ah ma tu parlavi di gente gioca ai videogames per professione? In effetti ci sono anche quelli i "pro gamer" di cui alcuni tra tornei streaming e sponsor vari hanno anche accumulato una discreta fortuna.
Ma qui ovviamente non si parla di nessuna delle due cose, non si sta ne sviluppando un nuovo Pac-man da vendere ai ciechi ne si vuole rendere questa donna la prossima campionessa dei tornei di Fortnine, qui si studia come curare la cecità e questo "videogioco" è semplicemente il primo passo assai rudimentale per sviluppare una vera protesi per chi è del tutto privo di vista.
Davvero la stupidità di questa polemica mi sembra "over 9000"
Forse non hai capito una cosa molto semplice. Con i sistemi attuali suppongo sia difficile ricostruire artificialmente una scena complessa (un paesaggio, un'immagine...) in modo da comunicarlo al cervello con impulsi elettrici (non è il mio campo e uso termini sicuramente impropri). Per cominciare è molto più semplice ricostruire un piccolo mondo fatto di linee e pallini come quello descritto (simil Pac Man) per testare le possibilità del paziente di percepirlo e di interagire. Il "videogioco" permette di studiare come il paziente riesce a "vedere" con il cervello il mondo e come riesce a muoversi al suo interno.
Tutto qua... se proprio vuoi polemizzare fallo con il titolo dell'articolo ma direi che anche quello è lecito visto che siamo su un sito di tecnologia e non di medicina.
Vedremo altre implicazioni... E chi di competenza acquisita via via...
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