Death Stranding 2: On the Beach - Il sequel che divide tra genialità e autocompiacimento. Recensione

Death Stranding 2: On the Beach - Il sequel che divide tra genialità e autocompiacimento. Recensione

Il nuovo capolavoro di Kojima Productions si presenta come un'evoluzione tecnica straordinaria del predecessore, ma pecca in una narrazione frammentaria che sacrifica la coerenza per l'autoreferenzialità del suo creatore.

di pubblicata il , alle 15:21 nel canale Videogames
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Quando nel 2019 Hideo Kojima ci regalò il primo Death Stranding, l'industria videoludica si trovò di fronte a un'opera che sfidava ogni convenzione. Un titolo capace di anticipare con inquietante precisione lo spirito dei tempi che sarebbero arrivati, trasformando l'isolamento e la connessione in elementi centrali di un'esperienza ludica senza precedenti. Oggi, a distanza di sei anni, il maestro giapponese torna con Death Stranding 2: On the Beach, un sequel che porta con sé il peso delle aspettative e la sfida impossibile di replicare la magia dell'originale.

Un ritorno alle origini troppo familiare

La nuova avventura di Sam Porter Bridges riprende undici mesi dopo gli eventi del primo capitolo. Il protagonista interpretato da Norman Reedus ha trovato una parvenza di serenità domestica insieme alla piccola Lou, lontano dalle responsabilità che lo avevano reso il "Grande Messo" delle United Cities of America. Tuttavia, come spesso accade nelle opere di Kojima, la tranquillità è destinata a essere interrotta dall'arrivo di Fragile, interpretata da Léa Seydoux, che trascina nuovamente Sam in un'odissea transcontinentale.

Il problema fondamentale di questo nuovo capitolo emerge già dalle prime ore di gioco: la sensazione di un déjà vu troppo marcato. Kojima sembra aver scelto di ripartire quasi da zero, riproponendo una struttura narrativa e ludica che ricalca pedissequamente quella del predecessore, ma spostando l'azione dall'America del Nord all'Australia. Questa scelta, seppur comprensibile dal punto di vista commerciale, priva il sequel di quella freschezza rivoluzionaria che aveva caratterizzato l'esordio della serie.

La narrazione si sviluppa attorno alla nave DHV Magellan e all'organizzazione Drawbridge, guidata dal misterioso "Charlie" e supervisionata da Fragile. L'obiettivo rimane sostanzialmente identico: connettere un continente attraverso la Rete Chirale, portando a termine consegne e stabilendo collegamenti tra gli insediamenti sparsi per il territorio. Tuttavia, dove il primo Death Stranding riusciva a mantenere una coerenza tematica e narrativa quasi perfetta, il sequel mostra crepe evidenti nella sua costruzione.

La regia autoriale che diventa autoreferenziale

Uno degli aspetti più problematici di Death Stranding 2 risiede nella gestione della componente narrativa. Kojima, libero da qualsiasi vincolo creativo e dotato di risorse praticamente illimitate, sembra aver dato sfogo a ogni sua fantasia senza il filtro di una direzione editoriale rigorosa. Il risultato è un'opera che, pur mantenendo momenti di straordinaria bellezza visiva e emotiva, pecca di una frammentarietà che compromette l'esperienza complessiva.

L'introduzione di personaggi come Tomorrow, interpretata da Elle Fanning, e Rainy, interpretata da Shioli Kutsuna, insieme al ritorno di Higgs (Troy Baker) e l'ingresso di Luca Marinelli in un ruolo che dovrebbe raccogliere l'eredità di Mads Mikkelsen, crea un ensemble corale che fatica a trovare una propria identità. Mentre nel primo capitolo ogni personaggio contribuiva organicamente alla costruzione del mondo e della trama, qui molte figure sembrano esistere principalmente per soddisfare le visioni artistiche del regista piuttosto che per servire la narrazione.

Questa deriva autoreferenziale si manifesta in sequenze che, seppur tecnicamente impeccabili e visivamente mozzafiato, risultano spesso disconnesse dal flusso principale della storia. Kojima sembra innamorato del proprio linguaggio creativo al punto da perdere di vista la necessità di mantenere una coerenza narrativa solida, trasformando il gioco in quello che potrebbe essere definito un "esercizio di stile" piuttosto che una vera evoluzione della formula originale.

Un gameplay evoluto ma meno caratterizzante

Dal punto di vista ludico, Death Stranding 2 rappresenta indubbiamente un passo avanti significativo rispetto al predecessore. Kojima Productions ha lavorato meticolosamente per espandere e raffinare ogni aspetto del gameplay, introducendo una quantità impressionante di nuove meccaniche, strumenti e possibilità strategiche. Il sistema di combattimento, uno dei punti più criticati dell'originale, ha ricevuto un'attenzione particolare, avvicinandosi maggiormente allo stile "Tactical Espionage Action" che ha reso celebre il creatore giapponese.

L'arsenale a disposizione di Sam si è ampliato enormemente, includendo armi innovative e sistemi di combattimento corpo a corpo più raffinati. Il gioco offre ora la possibilità di sviluppare vere e proprie "build" specializzate, permettendo ai giocatori di concentrarsi su approcci stealth, combattimento diretto o utilizzo creativo dei gadget disponibili. Questa varietà si riflette anche nelle missioni VR presenti sulla DHV Magellan, che strizzano l'occhio al passato creativo di Kojima con chiari riferimenti alla saga Metal Gear Solid.

Tuttavia, questa abbondanza di opzioni porta con sé un effetto collaterale inaspettato: la perdita di quella caratterizzante sensazione di fatica e vulnerabilità che definiva l'esperienza originale. Nel primo Death Stranding, ogni passo era una conquista, ogni consegna completata rappresentava una vittoria strappata a un mondo ostile. Il sequel, pur mantenendo la struttura basata sulle consegne, offre così tanti strumenti di facilitazione che quella gratificante sensazione di affaticamento risulta notevolmente attenuata.

Un mondo tecnicamente straordinario

Dal punto di vista tecnico e artistico, Death Stranding 2 raggiunge vette di eccellenza raramente viste nell'industria videoludica contemporanea. Il lavoro di Yoji Shinkawa nella direzione artistica si presenta in stato di grazia, creando un immaginario visivo che spazia dalle città fantasma alle foreste rigogliose, dai deserti infuocati alle vette innevate dell'Australia. Ogni ambiente è caratterizzato da un livello di dettaglio e una cura estetica che trasformano l'esplorazione in un'esperienza quasi contemplativa.

Il Decima Engine di Guerrilla Games viene spinto al limite delle sue possibilità, producendo risultati visivi che rappresentano probabilmente uno dei picchi più elevati raggiunti sulla generazione PlayStation 5. Il sistema di illuminazione globale ha ricevuto miglioramenti sostanziali, con effetti volumetrici e di occlusione ambientale che contribuiscono a creare atmosfere di rara suggestione. Il ciclo giorno-notte completo e il sistema meteorologico dinamico non sono semplici fronzoli estetici, ma elementi che influenzano concretamente il gameplay, modificando le condizioni di attraversamento dei fiumi durante le tempeste di cronopioggia o creando valanghe e smottamenti durante i varcosismi.

L'utilizzo della tecnologia MetaHuman per la realizzazione dei volti dei personaggi ha portato a un livello di realismo facciale impressionante, mentre la simulazione fisica ha ricevuto miglioramenti significativi, specialmente per quanto riguarda il modello di guida dei veicoli. Sul fronte delle prestazioni, il gioco offre le classiche modalità Qualità e Prestazioni, con quest'ultima consigliabile per sfruttare al meglio i 60fps, specialmente su PlayStation 5 Pro.

Il social strand system: connessione reinventata

Una delle caratteristiche più innovative e riuscite del sequel è l'evoluzione del Social Strand System. Il sistema multiplayer asincrono, già rivoluzionario nell'originale, raggiunge qui livelli di sofisticazione tecnica impressionanti. Il territorio australiano si trasforma letteralmente in base alle azioni dei giocatori: le formazioni rocciose si erodono gradualmente, i sentieri si spianano naturalmente attraverso il passaggio ripetuto dei corrieri, e l'intero ecosistema di gioco evolve organicamente.

Le possibilità di collaborazione si sono ampliate notevolmente, permettendo lo scambio di materiali tra mondi paralleli e la costruzione cooperativa di infrastrutture complesse come monorotaie e autostrade. Questa dimensione sociale del gioco rappresenta forse l'aspetto più innovativo e riuscito del sequel, creando un senso di comunità virtuale che trascende i confini tradizionali del multiplayer. La differenza tra l'esperienza online e offline è così marcata che Death Stranding 2 si configura come uno dei pochi titoli single-player per cui vale davvero la pena attivare un abbonamento online.

Una colonna sonora tra tradizione e innovazione

Il comparto audio di Death Stranding 2 merita una menzione particolare per la sua ricchezza e varietà. Accanto alle tradizionali selezioni musicali pescate dalla playlist personale di Kojima, il sequel può contare su una colonna sonora originale firmata dal compositore francese Woodkid, creata specificamente per questo progetto. Una combinazione tra brani originali e selezioni eclettiche che crea un panorama sonoro più variegato rispetto al predecessore, pur mantenendo quella capacità unica di trasformare la fatica del viaggio in momenti di pura poesia interattiva.

Il sound design raggiunge livelli di eccellenza in ogni aspetto, dai jingle caratteristici della Drawbridge agli effetti ambientali che si adattano dinamicamente alla posizione di Sam nella mappa australiana. La gestione dinamica delle tracce musicali, che mutano costantemente in base al contesto di gioco, contribuisce a creare un'esperienza sonora immersiva e sempre sorprendente.

Le ombre di un capolavoro imperfetto

Nonostante i numerosi pregi tecnici e ludici, Death Stranding 2 soffre di problematiche strutturali che ne compromettono l'impatto complessivo. La distribuzione narrativa risulta estremamente disuguale, con un ritmo che procede a rilento per la maggior parte dell'avventura, concentrando gli eventi più significativi negli ultimi capitoli attraverso un susseguirsi frenetico di cutscene. Questa scelta stilistica, seppur coerente con l'approccio autoriale di Kojima, genera una sensazione di squilibrio che penalizza l'esperienza complessiva.

Il finale, in particolare, si rivela anticlimático e artificioso, risolvendo molte delle tensioni narrative attraverso espedienti narrativi di scarso valore e "deus ex machina" che sembrano rattoppare alla bisogna le regole dell'universo di gioco. La sensazione è che Kojima abbia privilegiato l'impatto visivo e emotivo delle singole sequenze rispetto alla coerenza dell'insieme, creando un'opera che, pur mantenendo momenti di straordinaria bellezza, risulta meno organica e convincente del predecessore.

Un sequel che divide

Death Stranding 2: On the Beach si presenta come un'opera profondamente divisiva, capace di suscitare reazioni contrastanti anche negli estimatori del primo capitolo. Da un lato, rappresenta un'evoluzione tecnica e ludica impressionante, con un mondo di gioco più ricco, variegato e interattivo che mai. Dall'altro, pecca di una coerenza narrativa che era stata uno dei punti di forza dell'originale, sacrificando la solidità della costruzione drammaturgica sull'altare dell'autocompiacimento creativo.

Il gioco riesce comunque a mantenere intatto quel linguaggio poetico unico che distingue le opere di Kojima da qualsiasi altra produzione contemporanea. La capacità di trasformare la fatica del viaggio in momenti di pura contemplazione, di fondere musica, immagini e gameplay in un'esperienza emotiva totalizzante, rimane una caratteristica distintiva che nessun altro sviluppatore è riuscito a replicare.

Per chi aveva amato la formula del primo Death Stranding, il sequel offre un'esperienza ludica arricchita e approfondita, con una quantità di contenuti e possibilità strategiche che garantiscono decine di ore di esplorazione coinvolgente. Tuttavia, chi si aspettava un'evoluzione narrativa all'altezza della rivoluzione rappresentata dall'originale potrebbe rimanere deluso dalla frammentarietà e dall'autoreferenzialità di questa nuova avventura.

Conclusioni: un capolavoro tecnico con l'anima divisa

Death Stranding 2: On the Beach rappresenta uno dei paradossi più interessanti dell'industria videoludica contemporanea: un sequel tecnicamente superiore al predecessore sotto ogni aspetto, ma narrativamente meno coeso e impattante. Kojima Productions ha dimostrato una maestria tecnica e artistica straordinaria, creando un mondo di gioco che rappresenta probabilmente uno dei vertici estetici e tecnologici della generazione attuale.

Tuttavia, la libertà creativa totale di cui ha goduto Kojima sembra aver generato un'opera che, pur mantenendo la sua unicità nel panorama videoludico, pecca di quella disciplina narrativa che aveva reso l'originale un capolavoro indiscusso. Il risultato è un'esperienza che saprà sicuramente dividere pubblico e critica, confermando le intenzioni dichiarate dal suo creatore di realizzare un'opera polarizzante.

Per gli appassionati del gameplay originale, Death Stranding 2 rappresenta un'evoluzione imperdibile, ricca di contenuti, meccaniche raffinate e possibilità esplorative praticamente infinite. Per chi cercava una continuazione narrativa all'altezza del primo capitolo, il sequel potrebbe risultare deludente nella sua frammentarietà autoreferenziale. In ogni caso, rimane un'esperienza unica nel suo genere, capace di offrire sensazioni ed emozioni che difficilmente si possono trovare altrove nel panorama videoludico contemporaneo.

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