State of Decay 2 è uno dei migliori giochi di sopravvivenza

State of Decay 2 è uno dei migliori giochi di sopravvivenza

State of Decay 2 espande le componenti survival del precedente capitolo, dando ancora più risalto alla gestione di un gruppo di sopravvissuti in un mondo di gioco pesantemente ostile, dove la solidità della propria base e la raccolta di risorse hanno una valenza centrale. Al netto delle problematiche di natura tecnica, il nuovo gioco di Undead Labs è ancora un’ottima proposta per tutti quei giocatori che si aspettano una chiara prevalenza dell’azione e dell’interazione rispetto alla storia nell’accezione cinematografica del termine

di pubblicato il nel canale Videogames
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Sono già trascorsi cinque anni da quando il primo capitolo di State of Decay ha fatto capolino su Xbox 360, raccogliendo attenzione e consensi da parte degli appassionati. Chi ha potuto sviscerarlo all’epoca – o magari recuperarlo nella sua versione rimasterizzata per Xbox One – sa bene il titolo di Undead Labs non presenta una vera e propria trama. L’avventura prende le mosse a quindici anni di distanza dagli eventi dell’episodio originale e il paesaggio che si dispiega davanti agli occhi del giocatore è sempre quello delle campagne americane, letteralmente messe in ginocchio da più di tre lustri di caos, strenua sopravvivenza e risorse dannatamente limitate.

Come avveniva in passato, anche in questo caso la storia viene quindi plasmata dal giocatore nel corso della partita. I personaggi di cui si vestono i panni sono sostanzialmente un mezzo: se per un verso le caratteristiche e qualità uniche di ciascun individuo risaltano dentro e fuori dai propri avamposti, per l’altro può risultare difficile entrare sotto la pelle di questi individui, provare empatia o finanche immedesimarsi nei loro drammi. State of Decay, infatti, nasce come una sorta di trasposizione non ufficiale di The Walking Dead, pur lasciando da parte qualsiasi tentativo di replicare gli intrecci del fumetto, della serie televisiva o delle trasposizioni interattive di Telltale Games. In questo senso anche il sequel si prefigge di dare libero sfogo al concetto di sopravvivenza, nella sua accezione più empirica.

Come ha spiegato il design director Richard Foge, fin dalle origini l’idea degli sviluppatori è stata mossa dell’intenzione di rappresentare l’apocalisse zombie in un contesto pragmatico, dove la salvaguardia del gruppo prevalesse rispetto alle pulsioni del singolo individuo. La volontà di non snaturare l’essenza del gioco, tenendo quindi fede alle aspettative dei fan che avevano apprezzato la prima avventura, ha indotto lo studio ad estendere la quantità di luoghi esplorabili e le alternative possibili, senza piegarsi a logiche che poco avevano a che fare con un’opera basata squisitamente su dinamiche survival.

State of Decay nasce come una sorta di trasposizione non ufficiale di The Walking Dead
Se dovessimo provare a riassumere in tre punti chiave l’esperienza su cui si basa l’opera di Undead Labs, si potrebbe parlare di pianificazione, oculatezza e sangue freddo. Sì perché in State of Decay 2 fretta e approssimazione possono rivelarsi brutte consigliere. Abbandonare il proprio campo base senza un equipaggiamento adeguato alla situazione, un veicolo in buone condizioni e almeno una bella tanica di benzina di scorta, potrebbe non essere la scelta migliore della giornata, a voler usare un eufemismo.

Peraltro è anche vero che, come in ogni apocalisse zombie che si rispetti, anche il miglior piano può sempre essere sovvertito dall’imprevisto del momento. In questo senso, le variabili messe sul piatto da State of Decay 2 si sono dimostrate particolarmente variegate. L’attributo più interessante dell’opera, che trova conferma e ulteriore linfa anche in questo secondo appuntamento, è che per certi versi non c’è modo di riparare a una mancanza o a un errore di valutazione. Tutto scorre, esattamente come avviene nella vita reale, e l’unica cosa che si può fare è cercare di prevedere ogni mossa nella maniera corretta, dimostrando astuzia unita a una buona dose di lungimiranza. Questo discorso vale, a maggior ragione, quando bisogna interfacciarsi con la mappa di gioco durante i tormentati orari notturni, una delle novità di maggior rilievo rispetto all’esperienza d’esordio. Contrariamente a quanto accade nella stragrande maggioranza degli altri giochi – anche quelli basati sugli zombie – dove le fasi successive al calare del sole possono essere facilmente bypassate decidendo di dormire o di meditare, qui non ci si può sottrarre all’inevitabile. Non si vestono i panni di un unico personaggio, ma al contrario si deve avere cura di un gruppo ristretto di individui. In buona sostanza si ha tra le mani una formazione, che in qualche modo si prefigge di diventare sempre più esperta, organizzata e affiatata. Dopotutto con gli zombie a piede libero, sparpagliati nei più impensabili anfratti della mappa, non è lecito concedersi vacanze o distrazioni di alcun tipo.

Le fasi notturne sono assai lunghe e rappresentano quindi uno scoglio necessario da imparare a gestire nel migliore dei modi, perché non è contemplato impostare il proprio ritmo partita unicamente sulle ore di luce. Si può ripiegare provvisoriamente su attività come la cura della base, l’eliminazione di alcune strutture per lasciare il posto ad altre, la gestione del ricco inventario e l’immagazzinamento delle risorse nel magazzino, ma poi bisogna inevitabilmente andare là fuori e mettersi in gioco per provare a veder sorgere l’alba di un nuovo giorno.

L'idea degli sviluppatori è stata mossa dell’intenzione di rappresentare l’apocalisse zombie in un contesto pragmatico, dove la salvaguardia del gruppo prevalesse rispetto alle pulsioni del singolo individuo
Proprio per evitare che il giocatore venga meno a questa fondamentale regola, il salvataggio viene gestito automaticamente e non è in alcun modo possibile decidere di ricaricare la partita da una fase precedente. Come detto, si paga lo scotto degli errori o della propria superficialità, e su questo State of Decay 2 non transige. Vi esplode la macchina? Gambe in spalla per trovare un’alternativa, fosse anche camminare per chilometri in cerca di un piano B. Finiscono armi e munizioni o si guastano le armi da mischia? Allora sarà il caso di perlustrare nei paraggi, alla ricerca di risorse fresche. E potremmo andare avanti ancora. In State of Decay 2 tutto ha un costo, tutto ha un peso, e l’approccio errato può determinare il peggior prezzo possibile da pagare: la perdita di vite umane.

Torna infatti lo schema della morte permanente: i personaggi appartenenti alla propria cerchia di sopravvissuti non torneranno indietro nell’eventualità in cui dovessero contrarre la piaga del sangue senza essere curati, ma anche qualora dovessero essere assaliti dalle orde inferocite di non morti o da altri sopravvissuti senza un’adeguata predisposizione fisica e un degno equipaggiamento. Ciò vale per il personaggio che si sta controllando ma anche per il companion, considerando che in qualsiasi momento è possibile non solo selezionare un altro membro del team come seguace e portarselo dietro in missione, ma anche trasferirsi nei panni di quest’ultimo in qualsiasi fase dell’avventura. Difficilmente si rivelerà una buona scelta portare con sé una recluta per provare a eliminare un ammasso di Infetti, salvo che non lo si voglia avere sulla coscienza in tempi rapidissimi. È solo un’ipotesi, ma ci sono tante altre sfumature che chi deciderà di addentrarsi nei meandri di State of Decay 2 percepirà sulla propria pelle fin dall’inizio.

Abbiamo parlato di vite umane, ma forse sarebbe il caso di parlare anche di risorse. Infatti, come abbiamo già accennato nei precedenti paragrafi, in State of Decay 2 ogni individuo è tratteggiato da una serie di qualità molto specifiche. In questo frangente Undead Labs si è servita di una tecnologia chiamata Photochop, che ha permesso di variare le caratteristiche dei singoli individui con una moltitudine di possibili combinazioni inquadrate da criteri procedurali.

Abbandonare il proprio campo base senza un equipaggiamento adeguato alla situazione, un veicolo in buone condizioni e almeno una bella tanica di benzina di scorta, potrebbe non essere la scelta migliore della giornata, a voler usare un eufemismo
Il risultato è interessante, perché i sopravvissuti sono effettivamente dotati di abilità che li caratterizzano tanto nel combat system e nell’uso delle armi, quanto nella gestione di risorse e strutture. Alcuni di essi dispongono di conoscenze molto settoriali, che talvolta si riveleranno cruciali nella corretta gestione delle infrastrutture della base, ad esempio in campo medico o alimentare. Riuscire a procacciarsi una nuova recluta esperta nel campo del giardinaggio, ad esempio, servirà a migliorare la resa delle proprie coltivazioni presso il campo base, mentre optando per un individuo in possesso di conoscenze mediche si possono ottenere vantaggi nella cura dell’intera squadra. I meccanismi che abbiamo descritto finora funzionano piuttosto bene e contribuiscono a coinvolgere il giocatore, inducendolo a rimanere incollato alla partita. In questo senso State of Decay 2 è in grado di trasmettere quel senso di progressione e di gestione dei problemi che si presentano di volta in volta, e lo fa in modo soddisfacente e completo. Purtroppo l’avvincente gestione di risorse, sopravvissuti e campo base non trova corrispondenza nella qualità e articolazione delle missioni da portare a termine. Salvo poche eccezioni, gli incarichi sono sempre molto generici e basilari, richiedendo per lo più il recupero di materiali, il sostegno di alcuni individui in difficoltà e l’eliminazione di potenziali minacce. Talvolta lo scopo principale è sostenuto da obiettivi secondari e opzionali: alcuni incarichi rimangono disponibili soltanto per un breve intervallo di tempo e poi scompaiono, altri sono invece proposti a cadenze regolari, come ad esempio la presenza di nuovi venditori che rimarranno nei paraggi solo per poche ore al solo scopo di commerciare oggetti e potenziamenti.

Insomma, sul piano degli incarichi State of Decay 2 non migliora la situazione precedente e presenta oggettive lacune contenutistiche che vengono in parte controbilanciate proprio dai meccanismi di crescita e di gestione del proprio gruppo, che in buona sostanza mettono in secondo piano il singolo individuo in vista di un unico grande obiettivo: ampliare il proprio raggio d’influenza, reclutare altre persone, evolverne le potenzialità e quindi raggiungere una tendenziale stabilità generale. Alla gestione della propria piccola comunità si ricollegano alcune funzionalità inedite, come la possibilità di eleggere il leader dell’enclave. Costui avrà sotto la propria responsabilità l’intero team e sarà incaricato anche di interfacciarsi con i membri delle enclavi vicine, gestendo gli scambi e i rapporti di “vicinato”. Il rapporto con queste fazioni è regolato da vari fattori: collaborando si otterrà la loro fiducia, mentre decidendo di ignorare determinate richieste essi potrebbero limitarsi a diventare indifferenti oppure rivelarsi apertamente ostili.

In base alla mappa selezionata (sulle colline, sull’altipiano o nella valle), all’inizio del gioco si ottiene l’accesso a una struttura predefinita e con caratteristiche limitate. I punti influenza sono il sistema di valuta della frontiera e possono essere incamerati con qualsiasi forma d’interazione presente nel gioco, dall’uccisione degli zombie al commercio, dal completamento delle missioni all’aggiornamento del covo, e così via. Così facendo è quindi possibile accaparrarsi nuovi avamposti sparsi per la mappa, da sfruttare come rifugio e luogo strategico durante il completamento delle missioni. In questi frangenti, infatti, è possibile posizionarsi all’interno di un edificio reclamato dall’enclave per cambiare la selezione dei personaggi che si sta controllando o per avere libero accesso all’inventario, decidendo quindi di cambiare parte del proprio equipaggiamento per non rischiare di finire a corto di materiali.

All’interno del quartier generale vanno edificate strutture necessarie al sostentamento del gruppo, da erigere in specifici spazi dedicati. Inizialmente diventa indispensabile operare delle scelte, dando ad esempio la prevalenza all’infermeria e all’orto rispetto a soluzioni più avanzate come le torri di guardia o le postazioni da cecchino, ciò nondimeno effettuando scelte oculate e facendo crescere l’enclave sarà poi possibile trasferirsi altrove, arrivando così ad avere una quantità di costruzioni notevolmente superiore e funzionale.

Peraltro rispetto al passato è stata eliminata la possibilità di rinforzare il perimetro del proprio campo con vari materiali. In questo caso gli sviluppatori hanno preferito partire da un concetto basilare: disporre di poche risorse significa fare poco rumore e quindi passare per lo più inosservati di fronte alle masse informi di non morti. Per contro, iniziando a installare generatori di corrente, officine o poligoni di tiro si provocherà un visibile incremento del livello di minaccia e ciò si tradurrà in intrusioni sempre più frequenti, sempre più veementi e reiterate. Quest’approccio ci ha convinto solo a metà. Avremmo infatti preferito poter disporre anche di rinforzi del perimetro per mettere fuori dai giochi gli zombie o per lo meno per rallentarne l’avanzata, mentre in questo caso, da un certo momento in poi, capiterà di avere costantemente a che fare con i non morti anche quando si è concentrati sull’organizzazione dei materiali e sull’edificazione. A un certo punto si sbloccherà pure la possibilità di sfruttare i comandi radio per individuare specifiche risorse come cibo o medicinali.

L’indicatore del benessere e malessere del quartier generale gioca a sua volta un ruolo importante: mantenerlo elevato non provocherà dissapori all’interno del gruppo, mentre un valore negativo potrebbe indurre alcuni alleati a fare i bagagli e andarsene. Non manca nemmeno il rovescio della medaglia, ovvero la possibilità di esiliare un membro del gruppo o persino di sopprimerlo. In State of Decay 2 l’esplorazione del territorio gioca un ruolo fondamentale, giacché salendo su torri e tralicci si possono attivare icone dei luoghi non ancora individuate sulla mappa. L’intensità della minaccia va costantemente monitorato cercando di debellare il più possibile le infestazioni degli edifici e la presenza degli Urlatori, particolari tipologie di zombie che con il loro chiasso possono far convergere nello stesso luogo un gran numero di non morti. Le zone peggiori dell’epidemia rimangono tuttavia gli ammassi di Infetti, aree in cui la densità di individui contagiati dalla piaga del sangue è molto elevata e si rende necessario l’impiego di esplosivi, bombe, molotov, mine di prossimità e quant’altro possa velocizzare le operazioni, perché nel frattempo il punto nevralgico verrà letteralmente preso d’assalto da zombie infetti con gli occhi iniettati di rosso. A quel punto le cose potrebbero farsi molto complicate, a maggior ragione se si ha l’avventatezza di fare incursione in questi luoghi durante gli orari notturni.

Gli sviluppatori hanno preferito mettere da parte il CryEngine 3, su cui era basato il predecessore, rivolgendosi al più versatile Unreal Engine 4
Una delle novità più attese dagli appassionati di State of Decay 2 era la modalità cooperativa fino a un massimo di quattro giocatori, che permette di condividere l’esperienza di sopravvivenza con altri giocatori in situazioni di difficoltà. Nel gioco si può prendere parte a sessioni condivise in compagnia di altri tre utenti, dove ognuno di essi ha il comando della sua comunità e dei relativi personaggi. Purtroppo non è previsto di poter essere affiancati da altri giocatori con i quali condividere lo stesso campo base, e perciò tutto si riduce sostanzialmente a richieste di supporto e sostegno reciproco.

Qualche appunto andrebbe mosso anche alla struttura e varietà delle mappe. Ciascuna delle tre ambientazioni disponibile è grande tanto quanto l’area del precedente capitolo, ciò nondimeno gli spazi a propria disposizione finiscono per diventare piuttosto ripetitivi. Dopo qualche ora di esplorazione si inizia ad avere familiarità con i luoghi e ci si orienta senza grossi problemi sulle poche strade principali dove è il caso di rimanere per non distruggere in tempi brevi il proprio veicolo. Inevitabilmente si avvertono tutte le limitazioni che il mondo di gioco allestito da Undead Labs si porta dietro. Alcuni percorsi, specialmente quelli che conducono verso le enclavi alleate, diventeranno una meta costante e reiterata per il completamento degli incarichi e lo scambio delle risorse, rendendo alla lunga i tragitti in macchina piuttosto noiosi da fruire. Va comunque tenuta presente la disponibilità di tre scelte, una per ogni campo base selezionato al termine del tutorial iniziale. Questo garantisce se non altro un buon livello di rigiocabilità, a patto che si riesca a soprassedere sulla piattezza di molte missioni.

L’altra principale pecca di State of Decay 2, prevedibilmente, è insita nel comparto grafico. Per lo sviluppo del gioco gli sviluppatori hanno preferito mettere da parte il CryEngine 3, su cui era basato il predecessore, rivolgendosi al più versatile Unreal Engine 4. Purtroppo duole dire che il risultato finale non è all’altezza degli standard previsti dall’attuale generazione. Se si prende in considerazione la Year One Edition di State of Decay, le migliorie sul piano squisitamente tecnico sono davvero limitate.

I movimenti dei personaggi risultano legnosi e non particolarmente fluidi, specialmente se ci si trova in presenza di superfici irregolari. Abbondanti anche i glitch e le compenetrazioni poligonali, che in vari casi infastidiscono e distolgono dagli obiettivi concreti della partita. Durante il nostro test è capitato di dover riavviare il salvataggio a causa di alcuni freeze di Xbox One, ma abbiamo anche riscontrato altre problematiche assortite. Siamo ad esempio rimasti bloccati nel menù dell’inventario a causa di un’incursione zombie proprio in fase di consultazione e ci è capitato persino di non riuscire a interagire in modo corretto con uno dei membri dell’enclave. Altre volte, più semplicemente, è capitato di rimanere incastrati in alcune porzioni dello scenario – specialmente in prossimità dei rilievi rocciosi – durante le fasi di esplorazione e ricerca.

Al netto delle difficoltà tecniche e di qualche debolezza strutturale, State of Decay 2 si è però dimostrato un titolo survival efficace, in cui la libertà di pianificazione delle proprie azioni, i rapporti con altri sopravvissuti e il razionamento di ciò che si possiede, costituiscono tre punti cardine dell’esperienza di gioco. Gli individui di cui si veste i panni sono un mezzo per il raggiungimento di uno scopo comune, nel disperato tentativo di salvaguardare la specie umana dall’imperversare della piaga. Avremmo senz’altro gradito una miglior varietà e profondità delle missioni da portare a termine, e magari la presenza di un’unica mappa di dimensioni considerevolmente superiori, ma anche così State of Decay 2 rimane comunque un’ottima soluzione per gli appassionati del genere e per tutti coloro che da un videogioco si aspettano principalmente azione e interazione senza soluzione di continuità, a discapito di una storia strutturata.

In chiusura ricordiamo che il gioco viene proposto in due edizioni: quella standard, venduta al prezzo di 29,99 euro, e la Ultimate Edition, che per 49,99 euro garantisce una copia gratuita di State of Decay: Year-One Survival Edition e l'accesso ai futuri DLC Inpendence Pack e Daybreak Pack.

State of Decay 2 è disponibile su Xbox One e su Windows 10.

PRO

  • Personaggi dotati di caratteristiche uniche
  • Meccaniche di sopravvivenza efficaci
  • Potenziamento del campo base
  • Tre mappe tra le quali scegliere

CONTRO

  • Missioni non particolarmente variegate
  • Criticità dal punto di vista tecnico
14 Commenti
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MaxiHori07 Giugno 2018, 19:44 #1
Ma quando mai! Una noia incredibile, preferivo l'1 il che dice tutto
bodomTerror07 Giugno 2018, 21:30 #2
ehhh?? quanto vi hanno dato uno dei peggiori se mai
sgrinfia07 Giugno 2018, 22:01 #3
Già passare dal CryEngine 3 al Unreal Engine 4 e una bestemmia
ibyz08 Giugno 2018, 10:49 #4
Ma un survival decente senza zombie esiste ??
emanuele8308 Giugno 2018, 11:20 #5
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majinbu708 Giugno 2018, 12:55 #6
Originariamente inviato da: ibyz
Ma un survival decente senza zombie esiste ??


Parlano molto bene di The Forest.

Comunque io ho adorato il primo SoD e ancor di più mi piace questo, ora devono solo implementare una sorta di pvp e sarebbe perfetto
emanuele8308 Giugno 2018, 13:00 #7
Originariamente inviato da: majinbu7
Parlano molto bene di The Forest.

Comunque io ho adorato il primo SoD e ancor di più mi piace questo, ora devono solo implementare una sorta di pvp e sarebbe perfetto


ah il li avevo presi per zombie pure quelli.
LordPBA08 Giugno 2018, 14:44 #8
boh, giocato due pomeriggi perche' avevo game pass, carino, a volte noioso pero'...

adesso non ci gioco da un po' e non ne sento la mancanza
LordPBA08 Giugno 2018, 14:46 #9
Originariamente inviato da: majinbu7
Parlano molto bene di The Forest.

Comunque io ho adorato il primo SoD e ancor di più mi piace questo, ora devono solo implementare una sorta di pvp e sarebbe perfetto


tutti con questo Player Versus Player... ma sono l'unico che odia il multiplayer poiche' invaso da gente antipatica e ultracompetitiva che alla fine ti rovinano l'esperienza di gioco (leggi gente che non ha una vita vera)?

Al massimo mi diverto con i cooperativi
maxnaldo08 Giugno 2018, 16:49 #10
Originariamente inviato da: ibyz
Ma un survival decente senza zombie esiste ??


The Long Dark: solo fauna e meteo ostili e sopravvivenza allo stato puro, molto difficile all'inizio, ci si deve impratichire molto nell'uso delle risorse e nell'esplorazione. Meglio iniziare con una partita custom sandbox alla difficoltà più bassa, abbassando ulteriormente i vari parametri.
Comunque giocabile e divertente per un po', anche se alla lunga lo definireri più un "walking simulator". Qui non si può craftare quasi niente, usi solo le risorse che trovi, al massimo puoi costruire vestiti per proteggerti dal freddo (fatti con pelli degli animali che hai cacciato), ami e lenze per pescare, e arco e frecce. Trovi anche fucile e munizioni ma sono molto limitate e non le puoi craftare. Freddo, fame, sete e stanchezza sono i tuoi nemici principali.

Subnautica: per me è decisamente superiore ma è un po' meno survival e c'è una storia da seguire. Però ha una componente di crafting abbastanza buona, puoi costruire molte cose e le basi sottomarine, e puoi arredarle con un bel po' di roba. Concludere il gioco e la storia non richiede tantissimo tempo e non è un gioco difficile, devi solo esplorare sempre più in profondità e sbloccherai via via le varie fasi della storia. Molto bella per me l'ambientazione sottomarina della mappa di gioco, ma non è molto grande.

Astroneer: un survival spaziale, molto carino e fumettoso (come The Long Dark) ma secondo me con gli ultimi updates hanno perso un po' la strada iniziale. Nelle prime versioni era molto intuitivo e facile da comprendere, ora per me lo è molto meno in tante cose che sono diventate troppo confusionarie. Anche qui devi costruire una base e sopravvivere raccogliendo risorse per ampliarla, non c'è altro però, non c'è fauna ostile. Puoi costruire un'astronave e decollare per altri pianeti ricchi di altre risorse, solo nel sistema solare in cui ti trovi però, con giusto un po' di pianeti e lune. Difficoltà del gioco molto bassa e ambientazioni un po' deludenti.

The Forest: l'ho giocato per un po' ma non molto, non mi ha ispirato più di tanto, e dopo poche ore sono passato ad altro. E' comunque da provare. Forse lo rigiocherò per capirlo meglio.

Ark Survival Evolved: se ti piacciono i dinosauri qui hai a che fare con loro in un survival piuttosto difficile. Secondo me troppo lungo nell'evoluzione e nella raccolta di risorse, alla fine ti ritrovi a doverci giocare parecchie ore solo per costruire qualche cosetta. Comunque valido, mi è piaciuto anche se non è che gli darei il massimo, mi sono stufato prima di arrivare a costruire tecnologie e basi più avanzate. Una volta passata l'euforia di avere a che fare con i dinosauri (molto belli a vedersi) diventa un po' noioso.

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