God of War per PS4: perché è uno dei migliori giochi di questa generazione
Santa Monica ha spinto God of War in una direzione diametralmente diversa rispetto al passato, senza peraltro slegare il protagonista dai suoi torbidi ricordi. La nuova opera dello studio californiano regala tante trovate interessanti e si pone come una delle vette più alte raggiunte dai titoli dell’attuale generazione. Le dinamiche hack’n slash hanno ceduto il passo a un contesto di gioco molto più orientato al versante action RPG, mentre il personaggio di Kratos ha subito un’evidente evoluzione: i tempi della furia cieca hanno lasciato spazio alla saggezza e alla lungimiranza dettate dalla condizione paterna. E sullo sfondo? La maestosità delle ambientazioni e della mitologia nordica
di Davide Spotti pubblicato il 04 Maggio 2018 nel canale VideogamesSonyPlaystation
Quando il nuovo capitolo di God of War venne annunciato, sul palco della conferenza Sony all’E3 2016, un malcelato velo di perplessità iniziò ad addensarsi nel cuore prima ancora che nella testa di alcuni appassionati. Sostanzialmente, la domanda che si faceva strada era sempre la stessa: “che cosa sta diventando questo gioco?”, seguita a ruota dall’immancabile “non staranno mica pensando a una sorta di walking simulator, vero?”. E poi paure, dubbi, le immancabili punte di polemica con cui bisogna ormai imparare a convivere a cadenza quotidiana, quando ci si cala a piedi pari tra i commenti dei siti specializzati o nel tritacarne senza fine dei social.
Ecco, quella bella gente non aveva fatto i conti con un uomo. Al secolo Cory Barlog. Uno sviluppatore forse non proprio conosciutissimo dalle masse, che però si era già distinto nel passato di Santa Monica Studio per aver guidato, al crepuscolo dell’era PlayStation 2, lo sviluppo del maestoso God of War 2. Pacifico che, a giudizio di chi vi scrive, il terzo capitolo rimanga il momento più alto della saga per intensità e adrenalina, il secondo episodio delle avventure di Kratos è probabilmente il più bilanciato, longevo e completo titolo tra quelli che sono stati proposti fino alla pubblicazione di Ascension nel 2013.
Barlog è tornato al timone della compagine californiana con un obiettivo ben delineato in mente: provare a rivoluzionare dalle fondamenta la struttura della serie e darle nuova linfa. Più facile a dirsi che a farsi, per lo meno per chi preferisce limitarsi a consegnare il compitino. Non per Cory Barlog, nossignori. L’idea di realizzare un videogioco narrativo ricorrendo a un unico, enorme piano sequenza, era evidentemente diventata una sorta di ossessione per lo sviluppatore americano. Quando Crystal Dynamics pose il veto, facendogli notare senza troppi giri di parole che la sua idea era follia pura, il nostro non si è di certo perso d’animo.
In Santa Monica lo avrebbero accolto di nuovo a braccia aperte e con il benestare di Sony gli avrebbero permesso di coltivare ancora le proprie ambizioni. Così, nell’estate di cinque anni fa ha avuto inizio una nuova cavalcata, e noi ci apprestiamo in questa sede a valutare – dopo una lunga e spasmodica attesa – se ne sia davvero valsa la pena. Avranno avuto ragione i San Tommaso della prima ora? O avrà avuto ragione il timoniere Barlog coadiuvato dalla sua agguerrita ciurma di talenti? Benvenuti alla recensione di God of War.
Sullo sfondo la maestosità delle ambientazioni e della mitologia nordicaSono già trascorsi molti anni da quando l’immane furia di Kratos si è abbattuta con implacabile violenza sugli dei dell’Olimpo. Sopravvissuto alla lotta all’ultimo sangue con Zeus, il guerriero spartano ha preferito fuggire in una terra lontana per provare a dimenticarsi del suo passato e rifarsi una nuova vita fingendosi un comune mortale. Lo ritroviamo mentre è in procinto di abbattere un possente albero nel bel mezzo di un bosco innevato. Kratos è cambiato, lo si intuisce già al primo sguardo. La lunga barba fa da cornice a uno sguardo diverso, l’odio sembra essersi sopito sotto la coltre del tempo, esattamente come la neve ricopre gli alberi e i prati che gli si dispiegano attorno.
Kratos è cambiato anche perché adesso deve prendersi cura di Atreus, il ragazzo che gli ha dato la forza per mettere da parte vecchi tormenti, per guardare avanti e provare a non ripetere gli imperdonabili errori del passato. Non sono cose che si possono cancellare con un semplice colpo di spugna. Lo sa bene il guerriero spartano, mentre si appresta a preparare la pira funebre sulla quale, di lì a poco, verrà adagiata la madre di suo figlio. Il ragazzino appare comprensibilmente scosso, Kratos invece sembra già guardare oltre, proprio mentre una malcelata vena d’inquietudine si fa strada nel suo sguardo. Terminato il breve rituale, senza indugiare chiede ad Atreus se sia in grado di cacciare con l’arco, perché il viaggio che li attende è tutt’altro che una passeggiata. Prima di esalare il suo ultimo respiro, la donna ha chiesto che le sue ceneri vengano disperse sulla vetta più alta dei nove mondi, ed è proprio con questo obiettivo in mente che i due protagonisti devono prepararsi al meglio per raggiungere il monte più scosceso dell’intera Midgard.
Quando Santa Monica Studio ha iniziato a ragionare sulla strada che avrebbe dovuto intraprendere la serie, è stato chiaro fin da subito un concetto: God of War non avrebbe dovuto essere un vero e proprio reboot. Fare tabula rasa del passato non avrebbe giovato; come ha spiegato Barlog, sussistevano ancora troppi spunti e troppo materiale con del potenziale per potersi limitare a far ripartire la vicenda di Kratos da presupposti del tutto nuovi. Ecco perché la trama di God of War è anche una storia di richiami costanti al passato. Non sono presenti flashback, eppure i rimandi a ciò che è stato, a vicende ancora nitide, sebbene quasi sepolte, sono espliciti fin dai primi momenti e rappresentano un fattore importante, nonché una costante per l’intera durata dell’avventura.
Kratos è cambiato anche perché adesso deve prendersi cura di Atreus, il ragazzo che gli ha dato la forza per mettere da parte vecchi tormenti, per guardare avanti e provare a non ripetere gli imperdonabili errori del passatoMentre si stringe il pad tra le mani diventa subito molto chiaro il motivo per cui gli sviluppatori abbiano preferito compiere questa scelta, proseguendo la linea cronologica tracciata dalla trilogia originaria anche se ci si trova al cospetto di un’opera profondamente diversa da quelle che l’hanno preceduta. Nei primi istanti del racconto le bende sugli avambracci di Kratos di allentano; propriò la, dove un tempo erano avvinghiate le Lame del Caos. Il pensiero a ciò che è stato balena qua e là nella mente e nello spirito del nerboruto protagonista, che comunque prova a buttarsi immediatamente tutto alle spalle. Capitolo chiuso, non se ne parli davvero più. Eppure non ci si può dimenticare di essere una divinità. Presto si intuisce anche che Atreus non sia minimamente a conoscenza del passato di suo padre. Ne ignora persino la natura, non comprende la provenienza di quella forza e di quei poteri così unici e straordinari. Pur essendo un ragazzo ancora puro e ingenuo, non ha certo bisogno di farsi pregare per dare il meglio di sé in combattimento e riesce anche a dimostrare di saper imparare in fretta. Il suo essere snello e agile gli permette di fornire al padre quell’apporto che si rivelerà progressivamente fondamentale nella prosecuzione del lungo cammino che hanno innanzi.
Dal punto di vista ludico Atreus non è un semplice companion, ma piuttosto un personaggio di supporto da gestire a piacimento sul campo di battaglia. Il giocatore viene messo in condizione di indicargli quali nemici attaccare, permettendo di imbastire di volta in volta una strategia che coadiuvi l’uno e l’altro elemento (forza e agilità) alla base del combat system di questo nuovo capitolo. “Vacci piano, la fretta ci costerà cara”, lo ammonisce Kratos durante il prologo. È il segno, questa volta verbale, del cambiamento che è avvenuto nell’animo del protagonista, è una dimostrazione della sua buona volontà di trasmettere saggezza e pensieri costruttivi al figlio, dopo una vita di sofferenze, eccessi, errori e scelte quantomeno avventate. Ma gli dei sono dei e gli uomini sono uomini, e questo Kratos, nel profondo, lo sa fin troppo bene.
La scorsa estate, dopo aver giocato a Hellblade: Senua’s Sacrifice, ci eravamo detti che un combat system meno legnoso e un po’ più strutturato avrebbe potuto rendere l’opera di Ninja Theory un capolavoro. Ebbene, dovendoci occupare ancora una volta di un contesto ludico ispirato dalla mitologia norrena, possiamo affermare senza timore di essere smentiti che il nuovo God of War riesce proprio a mettere in pratica quel tipo di approccio, quella solidità nell’interazione e quello stile che ci siamo immaginati vivendo la follia psicologica di Senua. Nella fattispecie, la capacità di spingere l’acceleratore su elementi inediti per la serie, strizzando l’occhio ad altre produzioni appartenenti al versante action RPG, è stato di cruciale importanza per plasmare una nuova esperienza interattiva che, pur discostandosi con forza da ciò che è stato, si basa su idee, spunti e dinamiche che ci hanno catturato e convinto su tutta la linea.
Il combat system si è rivelato sensibilmente più tattico e cadenzato rispetto al passato, e questa novità nell’approccio passa per forza di cose anche dal radicale cambio nella gestione della telecamera, che ha letteralmente ridefinito gli standard d’attacco di Kratos. C’è un evidente parallelismo tra il rinnovato approccio del protagonista e il suo nuovo modo di stare sul campo di battaglia. I colpi inferti ai nemici sono diventati più pesanti, il dinamismo non è più quello dei tempi andati, quando la furia cieca del guerriero spartano aveva preso nettamente il sopravvento su qualsiasi altro sentimento.
Specialmente nelle prime fasi di gioco è molto importante fare attenzione al proprio posizionamento in campo. I nemici possono arrivare sia frontalmente che dai lati o alle spalle, ma diversamente dal passato, dove la presenza di una telecamera fissa si adattava a seconda delle caratteristiche dello scenario e di esigenze che potremmo definire “sceniche”, in questo caso è necessario valutare per bene gli spazi all’interno dei quali ci si trova a combattere. Una freccia posizionata in basso o ai lati della schermata indica che qualcuno si sta avvicinando da una direzione diversa e a seconda del colore è possibile intuire quando sia necessario spostarsi lateralmente oppure girare con prontezza la visuale per provvedere con una parata o un contrattacco. Questo criterio viene ulteriormente agevolato dai suggerimenti vocali di Atreus, che non perde occasione per indicare al padre la presenza dei nemici e la direzione da cui essi provengono.
Inizialmente prevale l’idea di arretrare per godere il più possibile di una visione d’insieme, senza farsi accerchiare o cogliere alla sprovvista, poi una volta acquisita maggiore familiarità con le nuove meccaniche di gioco ci si inizia a trovare a proprio agio anche nel vivo della battaglia, dovendo comunque tenere presente che un buon piazzamento, l’utilizzo delle tecniche di difesa e il supporto di Atreus tra un’incursione offensiva e l’altra sono sempre ben accette. Un’altra delle principali novità di questa nuova avventura è rappresentata dall’Ascia del Leviatano. La possente arma primaria permette di colpire con veemenza quando ci si trova in prossimità dei nemici, alternando colpi leggeri e altri più potenti, che tuttavia richiedono più tempo per essere eseguiti correttamente. All’occorrenza può anche essere lanciata a grande velocità in direzione dei nemici, così da infliggere danni sia dalla media che dalla lunga distanza. Su alcuni di essi è persino in grado di far scaturire status alterati di ghiaccio per brevi istanti. Una volta terminato l’attacco, la semplice pressione di un pulsante permette poi di farla ritornare saldamente nelle mani di Kratos, quasi alla maniera di un boomerang o di un oggetto magnetico.
Il combat system si è rivelato sensibilmente più tattico e cadenzato rispetto al passatoUn altro approccio interessante, e pienamente in linea con le caratteristiche del protagonista, è il combattimento a mani nude. Privilegiando l’impiego di pugni, calci e l’utilizzo dello scudo per difendersi, ma anche concatenando sequenze di colpi con le combinazioni che andranno sbloccate nel proseguo del gioco, questo secondo approccio alle battaglie offre un’interpretazione degli scontri ancora più fisica e strutturata, nonostante come detto il ritmo di gioco sia mediamente più lento rispetto a quello di un tempo. Per di più, in questi frangenti si ottiene più facilmente l’opportunità di causare stordimento nei nemici e di infliggergli pesanti mosse finali attraverso la pressione della levetta analogica destra.
In buona sostanza, il combat system di God of War presenta evidenti analogie con altri titoli, ma come già si sapeva strizza maggiormente l’occhio al genere action RPG rispetto al classico hack’n slash. Lo si coglie soprattutto analizzando elementi come il nuovo sistema di targeting dei nemici, ma anche andando a valutare la pesantezza dei colpi e il ritmo generale di gioco. Al contempo bisogna riconoscere a Santa Monica il merito di aver messo a punto nuovi punti di riferimento ben precisi, capaci di renderlo riconoscibile anche in mezzo ai migliori esponenti del genere. Dovendo tenere fede a questa filosofia di base, il gioco viene meno alle prolungate sequenze di pulsanti che contraddistinguevano i precedenti capitoli. Ciò nondimeno, attraverso la progressione del personaggio si possono andare a sbloccare una ricca gamma di approcci e soluzioni differenti. Riuscendo a padroneggiare come si deve le fasi di combattimento, è quindi ancora possibile arrivare ad effettuare combo interessanti e sequenze d’attacco divertenti da fruire, alternandole senza soluzione di continuità agli attacchi incrociati di Atreus, cadenzati dal fruitore stesso. Su input del giocatore il ragazzo può distrarre i nemici lanciando frecce a comando, fornire supporto a Kratos quando viene attorniato da forze ostili, e ancora immobilizzare gli avversari salendogli sulle spalle e strangolandoli con l’arco, oppure finire il lavoro con quelli bloccati dal ghiaccio del Leviatano.
Proseguendo nel gioco si ha modo di personalizzare anche aspetti specifici come l’entità dei danni causati dalle frecce, i colpi elementali, l’abilità di dare supporto fornendo pietre curative nel bel mezzo della battaglia, ogni qual volta si renda necessario. Gli ordini impartiti sono sempre efficaci, rapidi e perfettamente gestibili rispetto a tutte le altre variabili che compongono il sistema di combattimento. Per quanto riguarda le iniziative prese liberamente, l’IA che gestisce Atreus si è rivelata generalmente ben congegnata e con lievi incertezze solo in segmenti molto circoscritti dell’avventura. Non saremo più specifici per non dare fastidiosi spoiler, ma sicuramente avrete modo di rendervene conto durante la partita.
Rispetto al passato è cambiato anche l’impiego dei Quick Time Event, uno dei vari tratti caratteristici della saga. In quest’occasione il team di sviluppo ha preferito mettere da parte la comparsa a schermo delle icone per lasciare spazio a un sistema più dinamico, volto a mantenere intatto il senso di immersione nelle scene scriptate più adrenaliniche. In queste fasi viene semplicemente richiesto di muoversi verso destra o verso sinistra, parare e contrattaccare. La presenza di quattro livelli di difficoltà permette di adattare il gioco alle esigenze di tutti i palati. Il giocatore occasionale potrà accedere a un’esperienza molto friendly, mentre l’utente esperto e più smaliziato avrà ancora la libertà di selezionare a colpo sicuro il livello difficile, che comunque, ad eccezione di un paio di zone specifiche, non ci ha mai dato grattacapi eccessivi. Come d’abitudine non manca comunque la possibilità di propendere per un ulteriore grado di difficoltà. Denominato “Il Vero God of War”, va attivato portando a termine il gioco la prima volta.
Dicevamo dell’importanza delle inquadrature. Chi ha terminato i vecchi capitoli della saga sa bene che l’uso delle telecamere ha sempre avuto un ruolo centrale nel raccontare la storia e l’evoluzione degli eventi con uno stile ben preciso. Inquadrature fisse, riprese dalla media o dalla lunga distanza, spesso ad allontanarsi dal protagonista per mostrare la maestosità di alcune porzioni dello scenario. Questo approccio è stato adottato fino all’uscita di Ascension. Peraltro all’epoca non avevamo mancato di osservare come in determinati frangenti ci si fosse persino spinti troppo oltre, arrivando talvolta a ridurre il piano dell’azione e la dimensione del protagonista anche nel bel mezzo di serrate sequenze di combattimento che non sempre si rivelavano così funzionali da padroneggiare.
Per la nuova avventura di Kratos, Cory Barlog ha sempre avuto le idee molto chiare: dopo quattro capitoli principali e due portatili, c’era bisogno di proporre qualcosa di nuovo, di inaspettato. Così è nata l’idea di creare un unico piano sequenza che avrebbe dovuto protrarsi dall’inizio alla fine dell’avventura, senza mai staccare nemmeno per un attimo la telecamera dalla figura principale del racconto. Recentemente lo sviluppatore ha raccontato di aver proposto questa tecnica ai tempi della sua collaborazione con Crystal Dynamics per Tomb Raider, ma senza risultati. Il ritorno in uno studio dinamico e all’avanguardia come Santa Monica è stata quindi la scelta più ovvia e il risultato finale si è dimostrato davvero degno di nota e interessante anche dal punto di vista registico. Mescolando sapientemente e senza soluzione di continuità fasi di gioco e sequenze filmate, senza che ci sia mai uno stacco netto d’inquadratura o un lavoro di montaggio nella costruzione della scena, abbiamo vissuto un racconto con un taglio inedito e davvero accattivante.
Un’altra delle principali novità di questa nuova avventura è rappresentata dall’Ascia del LeviatanoE poi ci sarebbe da parlare a fondo del level design. In questi mesi Santa Monica ha detto di aver molto apprezzato e studiato Bloodborne. L’opera di From Software è già adesso nel novero dei migliori titoli di questa generazione, e come saprà chi ha avuto occasione di approfondirlo, è un capolavoro di design oltre che un punto di riferimento per il combat system. Non a caso vaghi richiami ad alcune caratteristiche esaltate in Bloodborne si possono cogliere in determinati particolari di God of War. Rispettando la necessità di non staccare mai l’inquadratura dal protagonista, il gioco si sviluppa su più mappe che tuttavia possono essere esplorate senza soluzione di continuità, e dà accesso a molte aree di ampio respiro, dove le fasi esplorative sono finemente bilanciate rispetto alla progressione narrativa e dove l’apertura di nuovi percorsi, scorciatoie e camminamenti si interseca alla risoluzione di enigmi ambientali e al recupero di oggetti preziosi.
Pur non presentando la struttura cervellotica e geniale dei giochi di From Software, la mappa di God of War è comunque ricca di nuove strade che emergono ad ogni nuovo passaggio nelle aree che sono già state esplorate una prima volta, eliminando il rischio di incorrere nel fastidioso backtracking. Per esigenze di trama Kratos e Atreus devono fare ritorno in alcuni luoghi già visitati, ciò nondimeno la progressione non si rivela mai identica al passaggio precedente, vuoi per la presenza di altre categorie di nemici, vuoi per la possibilità di sbloccare percorsi a cui in un primo tempo era semplicemente precluso l’accesso. Dopo aver completato la prima porzione del viaggio si ha accesso al Lago dei Nove, una sorta di hub centrale dal quale si sviluppano senza soluzione di continuità tutte le altre aree di Midgard e da dove è possibile anche accedere agli altri mondi esplorabili attraverso l’Yggdrasil, l’albero cosmico tipico della mitologia norrena. In questo modo si può ad esempio accedere al regno dei morti Helheim, oppure approdare sul pianeta infuocato Muspellsheim. Qui Kratos e Atreus possono persino accedere a un’arena di combattimento e fronteggiare orde sempre più numerose di nemici in cambio di ricompense rare.
Nel menù di gioco un’ampia sezione è dedicata alla gestione delle armi e del resto dell’equipaggiamento. Accumulando punti esperienza è possibile attivare nuovi slot negli alberi delle abilità riferiti all’Ascia del Leviatano e ad Artiglio, l’arco di cui si serve Atreus. Non mancano poi ulteriori poteri, mosse e capacità attivabili mediante l’albero delle abilità magiche, legato ai dardi elementali di cui si serve Atreus. Senza dimenticare nemmeno le dinamiche di combattimento con lo scudo e l’ampliamento del parco mosse per la modalità Furia, una delle qualità che Kratos ha portato con sé anche dopo la sua partenza dal Peloponneso. Nel proseguo dell’avventura non manca nemmeno qualche sorpresa che sarà senz’altro gradita dai fan più sfegatati della saga, ma preferiamo non anticipare niente per rovinare il piacere della scoperta.
Potenziando l’equipaggiamento si può incrementare il livello di Kratos, visibile sempre dal menù principale e suddiviso in sei voci, tra cui Forza, Difesa, Vitalità e Ricarica. Quest’ultima variabile si riferisce alla velocità di ricarica dei poteri runici associabili alle armi, che garantiscono vari tipi di attacco personalizzati attivabili con la pressione dei pulsanti dorsali del pad. A rendere ancora più ampio lo spettro di variabili a disposizione del giocatore ci pensano i castoni, delle particolari pietre in grado di migliorare ulteriormente le statistiche del personaggi in specifici settori.
Alla maniera di un The Witcher non manca nemmeno un pratico codex dove vengono riassunti dettagli sulla storia, i personaggi incontrati e la moltitudine di creature nordiche con cui bisogna vedersela nel corso del viaggio. Anche la varietà di nemici si è rivelata degna di nota, con una moltitudine di creature differenti a seconda dall’area in cui ci si trova. Presso la forgia dei bislacchi nani Brok e Sindri si possono creare armature migliori sia per Kratos che per Atreus, ma in questi frangenti si assiste pure a divertenti dialoghi e all’assegnazione di quest secondarie. Accedendo al negozio si ha ovviamente la libertà di acquistare potenziamenti, incantesimi e vendere alcuni manufatti e altre risorse raccolte durante il viaggio.
A questo punto è il caso di fare il punto su un altro degli aspetti che rappresentano un punto di rottura rispetto al passato della saga: la presenza degli incarichi secondari. Con un attento lavoro di bilanciamento Santa Monica è riuscita nell’intento di allungare la quantità di attività selezionabili nel corso dell’avventura, senza per questo appesantire il percorso principale. Le sub quest sono state piazzate con la dovuta moderazione, si completano che è un piacere e non appaiono mai come un semplice pretesto o come qualcosa di piazzato a casaccio solo per allungare il più possibile l’esperienza ludica con poco criterio. Qualcuno ha detto Mass Effect: Andromeda? No, c’era parso.
Potenziando l’equipaggiamento si può incrementare il livello di Kratos, visibile sempre dal menù principale e suddiviso in sei voci, tra cui Forza, Difesa, Vitalità e RicaricaRecentemente il game director Cory Barlog ha spiegato che il suo team ha cercato di amalgamare il più possibile la quest principale e gli altri incarichi che, di tanto in tanto, vedono impegnati i due protagonisti. “Se deviamo dal percorso, è solo per prepararci al viaggio”, dice Kratos a suo figlio a un certo punto dell’avventura. Potrebbe sembrare una frase pretestuosa, uno di quei tentativi di spiegare al giocatore tradizionalista perché siano state inserite delle sub quest anche in un gioco come God of War, ma la verità è che queste ultime funzionano, funzionano eccome e non vanno ad allentare la progressione, anzi la arricchiscono con nuove storie e con un costante approfondimento di una mitologia – quella norrena – che qui dalle nostre parti è senz’altro poco conosciuta; fatta eccezione per quei pochi richiami, con ampie “licenze poetiche”, cui ci ha abituato la cascata di pellicole cinematografiche targate Marvel.
Interessante e ben congegnato anche l’escamotage delle storie raccontate durante gli spostamenti sulle piccole imbarcazioni. La narrazione ha inizio solo una volta messi i piedi a bordo e si interrompe qualora si decida di attraccare da qualche parte, per poi riprendere da dove si era fermata una volta ritornati in viaggio. Di fatto lo strumento non è molto diverso dai dialoghi che sono presenti in molti giochi open world, quando due personaggi salgono a bordo di un veicolo e si muovono verso la meta della prossima missione. È la prima volta però che ci capita di apprezzare questo strumento narrativo in un titolo appartenente a questo genere e l’efficacia è data anche dal fatto, come detto prima, che la mitologia norrena non è molto conosciuta al di fuori dei paesi scandinavi, e pertanto di storie interessanti da raccontare, spesso legate alle divinità e ai personaggi che i protagonisti incontrano lungo il cammino, ce n’è un ricco campionario.
Dal punto di vista grafico Santa Monica ha eseguito un lavoro maestoso. In ambito console la casa californiana è sempre stata un punto di riferimento, riuscendo a tirare fuori il meglio dagli hardware Sony, e anche in questo caso il risultato finale è davvero impressionante per qualità delle texture e uso dei colori, dettagli dell’illuminazione e strutture poligonali. L’impatto generale è degno di nota anche giocando su PlayStation 4 standard ma viene ulteriormente valorizzato su Pro, dove è possibile sfruttare la tecnica del checkerboard rendering, che permette di avvicinare la resa visiva al 4K nativo con risultati eccellenti e una fluidità fissata stabilmente sui 30 frame al secondo. In alternativa è comunque possibile propendere per la modalità performance, dove a fronte di una risoluzione a 1080p si può salire fino a 60 frame al secondo. In questo senso Santa Monica dimostra di aver impostato di nuovo gli standard della piattaforma, dopo le eccellenze raggiunte da Uncharted 4 e Horizon Zero Dawn e in attesa di scoprire cosa ci riserverà Naughty Dog con l’atteso The Last of Us: Parte II.
Come sempre magistrale anche il lavoro effettuato sulla colonna sonora dal compositore Bear McReary. Le musiche accompagnano con equilibrio e passione l’incedere dei due protagonisti, riservando momenti duri in pieno stile God of War e altri più toccanti. L’autore americano ha spiegato di aver sempre avuto una predilezione, nei suoi lavori, per la cura della musica attraverso i personaggi e pertanto ha avuto buon gioco interfacciandosi con personaggi ben caratterizzati e dotati di più sfaccettature rispetto al passato. Dopotutto, come confermato dallo stesso McReary, le composizioni sono nate prendendo come punto di riferimento concetti di base come l’età, la saggezza, la potenza e la virilità, proprio nel tentativo di creare un’atmosfera più frastagliata e di riflettere le mutate propensioni della figura centrale del racconto.
Tirando le somme, God of War ci ha convinto praticamente su tutta la linea. Questo nuovo inizio per la saga ci ha donato all’incirca quaranta ore di divertimento genuino, rendendoci partecipi di situazioni ben congegnate, momenti emozionanti, paesaggi fantastici da osservare e una buona storia raccontata in modo semplice ma altrettanto efficace, anche grazie agli accorgimenti scenici che abbiamo descritto nel corso del pezzo. Per di più la nuova struttura permette, per la prima volta nella storia della serie, di fare ritorno a Midgard anche dopo aver terminato l’avventura principale, così da poter completare con tutta calma eventuali missioni secondarie rimaste indietro e per continuare ad esplorare ogni angolo di un mondo di gioco davvero ottimo. Le uniche mancanze che abbiamo percepito nel corso del nostro giocato, e che potrebbero essere un buon punto su cui lavorare in ottica futura, riguardano i boss. Alcuni scontri ci hanno convinto più di altri, ma innegabilmente da uno studio skillato in materia come Santa Monica sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più spinto. Lo stesso dicasi per la varietà delle mosse finali e delle prese, sensibilmente meno varia rispetto a un tempo. Detto questo, ci troviamo al cospetto di un’opera mastodontica, eccellente praticamente sotto ogni punto di vista e che aspira già a diventare una pietra miliare per l’intero settore.
La presenza di un finale aperto, che svela retroscena interessanti ma al contempo apre la strada a una ricca quantità di interrogativi, conferma la volontà di Santa Monica di spendersi nella creazione di ulteriori capitoli incentrati sulla vasta e non così conosciuta mitologia nordica, lasciando presupporre la realizzazione di una seconda trilogia. Magari si parlerà di un’altra escalation, questa volta verso le torri dell’ancora lontana e irraggiungibile Asgard, ma partendo chiaramente da presupposti differenti. Come evolverà il personaggio di Atreus? Quale sarà la sorte di Kratos? Assisteremo forse a un cambio degli equilibri tra i due personaggi con una sorta di passaggio del testimone, di ponte verso il futuro della saga? È ancora presto per dirlo, ma non vediamo già l’ora di poterne parlare.
PRO
- Sistema di combattimento molto solido
- Graficamente spettacolare
- È il capitolo più longevo della serie
- Ottima implementazione delle side quest
- Sistema di progressione vasto e ben strutturato
CONTRO
- Alcuni boss convincono più di altri
- Poche prese e mosse finali
30 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoDavvero tanto
In pratica è un film alla Coppola/Scorsese
Ma comincio a pensare, tecnicamente, che creare qualcosa di cosi guidato e chiuso abbia un senso solo per motivi di performance delle architetture attuali: per poter avere sto popo di dettaglio grafico bisogna ridurre gli spazi effettivi a disposizione, e si sente.
Però quello che si offre è spettacolo, adrenalina e ritmo sempre divertente e che spinge ad andare avanti
Diciamo che quando uscirà il prossimo su PS5, avremo le performance necessarie per spostare il tutto in un vero open World dove le parti sceniche/spettacolari possono essere eseguite senza necessita di caricamenti od altro dovuto ai limiti della generazione attuale.
[spoiler]se hai finito il gioco avrai fatto qualche incontro interessante [/spoiler]
Ma questo sembrerebbe interessante, non sarà un vero Open World ma pare che dia molta più libertà di movimento rispetto ai predecessori. (immagino un po in stile nuovi Tomb Raider)
Spero di riuscire a provarlo per farmene un'idea di persona, onde evitare di spendere 70€ per un gioco preso dall'hype e poi non riuscire a giocarli, come mi è successo coi predecessori...
Ma questo sembrerebbe interessante, non sarà un vero Open World ma pare che dia molta più libertà di movimento rispetto ai predecessori. (immagino un po in stile nuovi Tomb Raider)
Spero di riuscire a provarlo per farmene un'idea di persona, onde evitare di spendere 70€ per un gioco preso dall'hype e poi non riuscire a giocarli, come mi è successo coi predecessori...
in questo non esiste nessun qte, quindi da questo lato sei coperto, ma non aspettarti un open world, non lo e', e' comunque guidato, se puoi provalo,ma se non ti sono piaciuti i predecessori secondo me questo non ti fara' cambiare idea
Diciamo che quando uscirà il prossimo su PS5, avremo le performance necessarie per spostare il tutto in un vero open World dove le parti sceniche/spettacolari possono essere eseguite senza necessita di caricamenti od altro dovuto ai limiti della generazione attuale.
Ma perchè mai bisognerebbe desiderarlo in un vero open world? Meno male che la moda sta un pò passando, ma l'open world ha rovinato per anni il panorama. Ci sono giochi e tipologie di gameplay che hanno senso in un open world, un The Witcher o un GTA devono esserlo. Ma ci sono decine di altri giochi che sono stati infilati in mondi aperti solo perchè il pubblico voleva quel tipo di gioco, a scapito di gameplay e ritmo. Metal Gear Solid 5 è stato lo stupro finale, una cosa senza senso. Giochi come God of War o The Last Of Us fanno del ritmo, della narrazione e delle mappe ben scritte i loro punti di forza, volerli sbattere in un enorme mondo aperto solo per totalizzare decine di subquest inutili con chilometri quadrati di mappa dove non c'è niente di interessante da fare lo trovo completamente insensato. Meno male che questa moda sta un pò passando e che molti studi di sviluppo hanno elogiato i giochi lineari e con un andamento studiato
Possibile non si possano saltare i noiosi filmati?
Davvero tanto
In pratica è un film alla Coppola/Scorsese
Ma comincio a pensare, tecnicamente, che creare qualcosa di cosi guidato e chiuso abbia un senso solo per motivi di performance delle architetture attuali: per poter avere sto popo di dettaglio grafico bisogna ridurre gli spazi effettivi a disposizione, e si sente.
Però quello che si offre è spettacolo, adrenalina e ritmo sempre divertente e che spinge ad andare avanti
Diciamo che quando uscirà il prossimo su PS5, avremo le performance necessarie per spostare il tutto in un vero open World dove le parti sceniche/spettacolari possono essere eseguite senza necessita di caricamenti od altro dovuto ai limiti della generazione attuale.
Tutto vero, e Zelda BOTW è la prova "al contrario".
concordo
l'open world ha rotto.
soprattutto perchè a giustificarne l'implementazione ci ritroviamo meccaniche di gameplay che noiose è dir poco, sono al limite dell'autolesionismo.
mai inoltre capirò perchè il dispersivismo del genere open è così tanto benvisto...
Possibile non si possano saltare i noiosi filmati?
filmati che hai visto solo tu e uno di new york
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