Quando i videogiochi copiavano dal cinema
I videogiochi stanno diventando il punto di riferimento nel mondo dell'intrattenimento, e questo vale anche per gli aspetti narrativi e artistici.
di Rosario Grasso pubblicato il 19 Dicembre 2013 nel canale VideogamesL'industria dei videogiochi guadagna sempre più posizioni rispetto al mondo del cinema, e rischia di eclissarlo completamente. Non solo è in grado di generare più soldi (ma questo anche per il costo molto più elevato delle singole copie dei giochi rispetto ai film), ma soprattutto riesce a coinvolgere in maniera più intensa e creativa. Al punto che il cinema stesso sta convintamente guardando al mondo videoludico, cercando di carpirne alcune forme di narrazione.
Penso soprattutto al film Gravity di Alfonso Cuarón. Parto dal presupposto che ritengo questo film di ottima qualità, per cui il fatto di accostarlo a un videogioco non è da vedere in senso negativo, anzi è vero il contrario. Gravity non è tanto il racconto di una storia, quanto il coinvolgimento dello spettatore in uno scenario che si basa su regole proprie. E il regista non pensa tanto a narrare, quanto appunto a fissare queste regole e ad evolverle nel corso della narrazione.
Pensa principalmente a immergere lo spettatore nel contesto ricostruito, e lo fa adottando tanti espedienti narrativi a cui i giocatori sono abituati. Per esempio segue le vicende e racconta le emozioni dei protagonisti dalla prospettiva in prima persona, oltrettutto facendo uso del 3D stereoscopico. E si avvale, ed è il caso di dirlo, anche di una fotografia sensazionale, che da sola vale il prezzo del biglietto.
La prospettiva in prima persona sembra funzionare come quella di un normale videogioco, visto che i protagonisti si spostano in uno spazio tridimensionale e vedono in prima persona oggetti e ostacoli che si parano loro davanti. Addirittura, Cuarón fa passare sovente le mani davanti al punto di osservazione come capita in un normale Call of Duty o, se vogliamo mantenerci più sull'aulico, come capita in BioShock Infinite.
Ma non sono solamente gli espedienti visivi che avvicinano Gravity al gaming, ma lo è la stessa storia e il concetto alla base, che riguarda il coinvolgimento e il tipo di immersione che ha lo spettatore, come abbiamo visto. Tutta la seconda parte della storia, quando si esaurisce l'effetto sorpresa dato dalla contestualizzazione e dalla fotografia, si basa infatti sulla necessità di sopravvivenza. Alla protagonista succedono tante disavventure, forse in maniera anche esagerata e fin troppo forzata, ma con caparbietà riesce sempre a superarle, per ottenere l'immancabile ricompensa finale.
E, se avete capito dove voglio andare a parare, a questo punto vi sarà venuto in mente il nuovo Tomb Raider. A Cuarón, infatti, serve un pretesto per portare a termine il suo filone narrativo, e per attaccare quella serie di disavventure all'irrinunciabile finale positivo, tipico dei film di Hollywood. Ecco che anche qui segue la strada del coinvolgimento, con un canovaccio che così bene è funzionato nel mondo del gaming quando, appunto nel caso di Tomb Raider, il giocatore si immedesimava nello sforzo sovrumano della giovane Lara Croft, e conduceva il suo alter ego non solo alla salvezza, ma quello che è più importante, alla redenzione.
Gravity forse è l'esempio più calzante di cinema che guarda al mondo del gaming, ma ce ne sono tanti altri. In film come World War Z, ad esempio, notiamo una segmentazione tra gli scenari netta, mentre per ogni scenario c'è una missione da portare a termine. Non so a voi, ma a me ha ricordato la suddivisione in livelli tipica dei videogiochi. In molti casi i protagonisti si trovano ad aggirare gli zombi, e devono farlo in maniera accorta e stando al silenzio, in uno fra i tantissimi punti di contatto di questo film con un altro dei videogiochi di maggior successo del 2013, ovvero The Last of Us.
Ma lo snodo centrale è che il cinema, mi riferisco principalmente a quello di Hollywood che ha delle pretese di intrattenimento prima che di riflessione, punta sempre di più alla riproduzione di mondi con proprie regole, all'interno dei quali immergere il giocatore. E probabilmente possiamo individuare in Avatar il capostipite di questa tendenza, dove il 3D stereoscopico serviva principalmente a trasmettere le emozioni in prima persona direttamente allo spettatore, come se fosse proprio quest'ultimo a realizzare quelle azioni.
E allora ecco che il fulcro centrale del ragionamento torna a essere quel tipo di coinvolgimento, che ormai cinema e videogiochi hanno in comune. L'immersione in un mondo fatto di regole proprie diventa l'elemento irrinunciabile del creatore di contenuti di intrattenimento, dove modificare quelle regole porta allo spaesamento dello spettoatore/giocatore e allo stesso tempo alla voglia di risolvere il problema che così gli è stato posto.
Ma è anche una questione di ritmo di narrazione. Molti dei film moderni, e penso ad esempio a Man of Steel, si concedono lunghe sequenze d'azione, tralasciando per decine di minuti la parte di dialoghi e riunciando di fatto alla sceneggiatura per lunghi tratti. Proprio come in un videogioco, l'azione prende il sopravvento e il coinvolgimento dello spettatore è dato più da fatti reali che con linee di dialogo. La tendenza ad eccedere in lunghissime sequenze d'azione nasce principalmente dai film della Pixar, penso agli Incredibili o allo stesso Wall-E.
La precedente tecnologia Pixar non consentiva, infatti, di avere volti dei personaggi talmente dettagliati da avere espressioni umani credibili e, soprattutto, prolungate in lunghi intervalli di tempo. Tutto si esauriva velocemente, e il creatore di contenuti aveva bisogno di ricorrere ad altri espedienti per giungere all'emozione e per creare significato. Il resto del film era più facilimente riempito, quindi, da lunghe sequenze d'azione. Sappiamo bene che nei videogiochi questo snodo è stato elegantemente superato grazie alle tecnologie di performance capture, come capita nel caso di Beyond Due Anime. Ma questo è un altro discorso.
Quel che mi preme adesso sottolineare è piuttosto il fatto che molti film intrattengono lo spettatore con tecniche che nascono dal gaming, come lunghe sequenze d'azione dove può capitare anche di assistere, tra le altre cose, a sparatorie seguite dalla prospettiva in prima persona. Questo tipo di cinema, insomma, rischia di ridursi a una delle componenti di un videogioco, il quale invece alterna altri tipi di elementi incastrandoli in strutture sempre più complesse. Certo, i videogiochi richiedono un impegno all'utente che il film non richiede, e che quindi può rimanere preferibile per coloro che non sono interessati all'interazione. Ma siamo sicuri che non sia, piuttosto, una rinuncia?
I videogiochi non hanno, d'altra parte, trovato ancora degli equilibri perfetti tra interazione e narrazione. In molti casi c'è un prevalere della seconda, in altri è la prima a farla da padrona, il che porta a uno svilimento della parte contenutistica ed emozionale. È proprio una questione di tempistiche, mentre, in casi come quello del già citato The Last of Us, si iniziano a trovare equilibri interessanti, visto che la parte di giocato serve per introdurre la successiva narrazione, e questa a creare un pretesto, poi più o meno bene codificato in termini di trama portante, per continuare a giocare.
D'altronde i giochi con una trama adulta come quella di The Last of Us, o BioShock Infinite se vogliamo, si contano sulle punte delle dita di una mano. Ma gli autori di videogiochi sembrano riuscire a guadagnare posizioni anche in tal senso, così come lo hanno fatto in termini di coinvolgimento.
10 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoSi in parte è vero, il problema è che sul lato trama c'è stata un involuzione pazzesca, molti titoli tripla AAA meriterebbero di essere declassati in serie Z....
Credo che non sia fondamentale avere dei gran effetti speciali o una grafica da urlo se poi di fatto è un involucro vuoto, infatti notiamo che film con pochi effetti speciali e videogame con grafica scadente o fatta volutamente scadente ma con un gran potenziale di contenuti fanno successo.
I VG non hanno niente da invidiare al cinema anzi... in alcuni casi hanno una marcia in più... aggiungono una dimensione al cinema: il vero cinema 3D sono in videogiochi! La terza dimensione (oltre all'audio-visivo)... è l'interattività!
Checchè se ne dica alla fine sono due modi d'intrattenere con le loro caratteristiche e specificità...oggi hanno il denominatore della computer grafica...ma a livello di storia e di come vengono raccontate(uno ha un'interattività con l'utente l'altro è totalmente passivo) hanno IMHO meno punti in comune di quel che si pensa ed infatti le conversioni hanno sempre delle banalizzazioni che gli autori devono inserire dovute appunto alle differenze dei due mezzi
una sola parola: LOL
un film totalmente ridicolo dal punto di vista scientifico (mazinga Z è più plausibile), stile narrativo e visivo preso di peso da un videogame della peggior specie, maschilismo americano come se piovesse tanto che se fossi una donna sporgerei denuncia..aggiungiamo sandra bullok ridicola come astronauta (stereotipo della donna completamente incapace pure di pagare una bolletta senza poggiarsi ad un uomo che fa il figo ogni 2 minuti, pure da morto)..risultato:7 oscar e il plauso della NASA. meno male che non ha vinto come miglior film. sto rivalutando pure prometeus, a sto punto.
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