Resident Evil 6: la quantità vince sulla qualità

Resident Evil 6: la quantità vince sulla qualità

Nel mondo dei videogiochi, una delle critiche che viene più comunemente spesa contro gli autori delle ‘grandi saghe’, è quella di avere poco coraggio. Raggiunto il successo, si dice, gli sviluppatori hanno paura di spezzare l’incantesimo, preferendo – capitolo dopo capitolo – proporre al pubblico semplicemente un ‘more of the same’ del gioco che ha convinto il pubblico.

di pubblicato il nel canale Videogames
Resident Evil
 

Tante campagne ... in fotocopia?

Dunque, come detto, la carne al fuoco offerta da RE6 è tanta. Ma si rivela – ahimè – tutta cucinata alla stessa maniera, o quasi. Intendiamoci: Capcom ha cercato di differenziare marcatamente lo stile delle campagne, ma non è riuscita a dar loro una giocabilità realmente differente.

Nelle intenzione degli sviluppatori, le vicende di Leon ed Helena sarebbero dovute essere quelle maggiormente legate a situazioni da survival horror; Chris e Piers avrebbero attraversato livelli ‘da guerra’, con sapore bellico e più vicine alle atmosfere da sparatutto ‘classico’; mentre Sherry e Jake si sarebbero fatti forti delle loro capacità maggiori nel corpo a corpo, facendo esperire all’utente un genere nuovo di combattimento.

In realtà, tutta questa differenza si nota proprio poco. Cambiano le armi e i contesti, ma il ritmo di gioco e la tipologia di sfida, no. Tutto Resident Evil 6 è strutturato come uno shooter in terza persona in cui le maggiori preoccupazioni dell’utente saranno rappresentate dalla caccia all’ultimo proiettile, dalla poca reattività dei comandi e dalla confusione generata da un’inquadratura eccessivamente stretta. Per quanto sia innegabile che l’atmosfera di un cimitero notturno sia differente da quella che si respira per le vie di una cittadina devastata dalla guerriglia, lo schema di gioco tremendamente monocorde, renderà sostanzialmente indifferente – in senso concretamente ludico – quale campagna si stia giocando. E non basteranno certo le differenze nel look e nella disposizione degli inventari dei differenti personaggi.

I nemici saranno numerosi e aggressivi in tutte le campagne. Gli zombie ‘evoluti’ saranno molto simili agli J’Avo (se questi ultimi saranno in grado di usare armi, i primi ovvieranno alla scarsa manualità ‘sparando’ i propri succhi gastrici), i ‘mostri colossali’ si presenteranno in modo trasversale alle campagne, così come i semplici puzzle. Ecco allora azzerate quasi tutte le differenze. Stesso discorso anche in termini di arsenale: le armi in possesso dei personaggi variano, ma la loro diversità è quasi sempre solo estetica.

Perché, presto o tardi, ogni eroe entrerà in possesso di uno strumento di offesa paragonabile a qualcosa di già visto in un’altra campagna.

Non c’è nemmeno l’auspicata coerenza nelle situazioni di lotta o nella disponibilità di risorse: se la campagna di Leon, con il proprio spirito da survival horror, sarebbe dovuta essere quella con i combattimenti meno serrati e con la disponibilità di proiettili più ridotta, così non è. In questo senso le differenze sono minime, rispetto alle altre campagne. E, anzi, i livelli di Leon ed Helena risultano spesso i più ricchi di risorse.

 
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