Pandemie e videogiochi: come World of Warcraft aiuta a combattere il Coronavirus

Pandemie e videogiochi: come World of Warcraft aiuta a combattere il Coronavirus

Un bug di World of Warcraft riscontrato nel 2007 aveva evidenziato alcuni comportamenti tipici dell'essere umano in tempo di pandemie, che purtroppo stiamo rivedendo in questi giorni di emergenza Coronavirus

di pubblicata il , alle 10:01 nel canale Videogames
BlizzardWorld of Warcraft
 

Quando si innesca una pandemia globale come quella che stiamo vivendo la variabile incontrollabile sono i comportamenti degli esseri umani. Ciò rende difficile costruire modelli matematici precisi per prevedere come progredirà il contagio. L'emergenza Coronavirus ha generato panico nella gente, spingendola a procurarsi quanto più cibo possibile, mascherine, disinfettanti e saturimetri.

Un problema verificatosi nel popolare MMORPG World of Warcraft nel 2007 aveva già fornito un modello epidemiologico per certi versi attendibile. Lo si ricorda come "Corrupted Blood incident" come efficacemente sottolinea Ars Technica. Non era voluto da Blizzard e riguardava il famoso raid Zul'Gurub in cui i giocatori meglio attrezzati dovevano affrontare un boss conosciuto come Hakkar the Soulflayer. Fra le sue "spell" una in particolare era particolarmente devastante: di tipo "debuff", Corrupted Blood infettava i giocatori che si trovavano nelle vicinanze del boss.

I giocatori infetti subivano in questo modo danni a intervalli regolari, il che li portava a dissanguarsi completamente fino alla morte. Non c'era rimedio a Corrupted Blood, se non collaborando e uccidendo insieme Hakkar.

Hakkar the Soulflayer

Hakkar the Soulflayer

Un effetto così devastante non era stato previsto da Blizzard, la quale pensò che comunque la problematica sarebbe rimasta circoscritta all'area intorno ad Hakkar. Le cose non andarono così: ci fu panico fra i giocatori infetti e presto si teletrasportarono in altre parti del mondo di gioco diffondendo il virus. Lo fecero prima di morire, ovviamente, e prima di uccidere Hakkar, scatenando una vera e propria pandemia virtuale che ha mandato in tilt il gioco intero.

Anche perché questi giocatori erano di livello alto, con equipaggiamento ai vertici, e quindi in grado di resistere più a lungo all'"infezione". I giocatori di livello inferiore, invece, morivano molto più in fretta quando esposti ai giocatori infetti, mettendo in crisi l'intero sistema di gioco.

La pandemia si innescò per via di un difetto nella programmazione, ed era in grado di contagiare anche i pet dei personaggi non direttamente controllabili dai giocatori. Gli infetti erano asintomatici, ma in grado di contagiare chi ancora non aveva contratto il virus. Le mappe di gioco a un certo punto si riempirono di "cadaveri" virtuali e i giocatori iniziarono a farsi prendere dal panico.

Gli sforzi per la quarantena si sono rivelati infruttuosi nel fermare l'epidemia. Alla fine, sono stati interessati almeno tre server e Blizzard ha dovuto riavviare l'intero gioco per correggere il problema.

Il caso fu notato da un epidemiologo di nome Eric Lofgren, all'Università Tufts, che, insieme alla collega Nina Fefferman, lo usò a modello per scrivere un articolo pubblicato su Lancet Infectious Diseases esaminando le potenziali implicazioni dell'incidente nell'ottica di rifinire i modelli epidemiologici esistenti. Il punto era proprio definire il modo in cui le persone reagiscono in caso di contagio così veloce. La coppia di epidemiologi oggi sta lavorando sul Coronavirus, cercando di prevedere e arginare i comportamenti più illogici della popolazione.

Secondo il loro studio, alcuni giocatori hanno cercato di aiutare gli infetti con pozioni curative: ma era impossibile arrestare la malattia e hanno solo provocato una carenza di pozioni senza alcuno scopo concreto. Altri giocatori si sono fiondati nelle aree infette per curiosità, con l'unico risultato di contrarre loro stessi il virus, e gli epidemiologi li hanno paragonati ai giornalisti. Altri ancora hanno provato a far diffondere ancor più l'infezione e uno di loro ha addirittura assunto il ruolo del profeta: in piedi sulla piazza centrale della città ha iniziato a raccontare la carneficina che si stava verificando nel gioco.

"Quello studio mi ha aiutato molto a capire il modo in cui le persone percepiscono le minacce" ha recentemente dichiarato Nina Fefferman a PC Gamer. "Da allora gran parte del mio lavoro ha riguardato la realizzazione di modelli di percezione del rischio, e non credo che sarei arrivata ai risultati che oggi posso vantare se non avessi dedicato quel tempo a valutare le discussioni dei giocatori di WoW sul Corrupted Blood e su come agire nel gioco".

Lofgren è ora alla Washington State University, che si trova in una regione degli Stati Uniti particolarmente colpita dal Coronavirus. Il suo attuale lavoro si concentra sugli stress che questo tipo di epidemie pone sul sistema sanitario. Anche lui conferma che lo studio di World of Warcraft è stato molto utile per affrontare l'attuale reale pandemia. "Durante la diffusione del virus, è molto importante capire e prevedere come le persone reagiscono alle disposizioni delle autorità. Non puoi dare per scontato che tutti li seguiranno e che tutti si metteranno in quarantena" ha detto a PC Gamer.

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