Come erano i videogiochi ai tempi di Zork e di Rogue

Come erano i videogiochi ai tempi di Zork e di Rogue

Una riflessione su quattro giochi agli albori del media videoludico. Zork, Avventura nel Castello, Freedom Fighters e Rogue sono tutt'oggi indimenticabili per chi ha iniziato a giocare negli anni '80.

di pubblicato il nel canale Videogames
 

Sulla scia del pezzo su Elite Dangerous che abbiamo pubblicato ieri, qui nella redazione di Hardware Upgrade ci siamo fatti prendere dalla nostalgia, e abbiamo ripercorso alcune tappe della storia dei videogiochi. C'è chi ha menzionato Rogue, chi Zork, chi Freedom Fighters per il vecchissimo Philips Videopac G7000, chi addirittura Avventura nel Castello.

Zork

Zork

Videogiochi immediati, che puntavano tutto sull'interazione e che lasciavano tantissimo spazio, se non totale, all'immaginazione. Trionfava la semplicità, ma non per questo risultava svilita la profondità o la capacità di trascinare fuori dalla realtà. Però, probabilmente ciò che è cambiato maggiormente da quei tempi a oggi non sono tanto i videogiochi, ma chi sta dall'altra parte del monitor, ovvero noi.

Ormai siamo sempre presi tra miriadi di cose da fare e non riusciamo più a staccarci completamente e a dedicarci senza compromessi a qualcosa senza pensare ad altro. Affrontiamo tutto con ansia e concitazione, e per questo ci aspettiamo che anche i videogiochi, in questo caso, "ci capiscano" e siano rapidi e concisi, senza tempi morti e che sacrifichino la profondità sull'altare della velocità.

I giochi di oggi guidano il giocatore e se lo mettono in eccessiva difficoltà vengono considerati negativamente, perlomeno da un certo pubblico che invece si aspetta semplicemente di andare avanti, quasi come se si trattasse di film. Non c'è un forte ostacolo al completamento e se c'è è fittizio, perché superabile in poco tempo. Allo stesso tempo, probabilmente se oggi riprendessimo tra le mani uno dei titoli prima citati lo finiremmo subito, ma a quei tempi non era così.

Non eri frustrato dal dover completare tutto subito, ma allo stesso tempo ti dedicavi anima e corpo alla risoluzione di quei contorti e bizzarri enigmi, e ne facevi un motivo esistenziale. Tornavi giorno dopo giorno davanti al monitor per finire un nuovo enigma o affrontare un combattimento in maniera leggermente diversa, ma non diventava mai una sfida ossessiva con te stesso come oggi capita con certi titoli multiplayer.

Diciamo che forse tutto era più "sano" e diluibile nel tempo. E questo è un ulteriore segno che coloro che sono cambiati di più sono gli utenti piuttosto che i videogiochi. C'era anche un "effetto stupore" che oggi probabilmente non esiste più. Quegli anni di pionierismo informatico non torneranno e chi non li ha vissuti potrà percepirne il fascino solo in minima parte. Oggi abbiamo continuamente la sensazione di aver visto già tutto e le novità sono molto diradate nel tempo. A quei tempi non era così.

Zork è stata l'antesignana delle avventure testuali. La prima versione fu addirittura scritta tra il 1977 e il 1979, mentre il videogioco uscì in episodi tra il 1980 e il 1982 per effetto della distribuzione di Infocom, una software house famosissima presso gli appassionati di videogiochi in quegli anni. Zork, nome che venne scelto dopo aver scartato Dungeon, era una parola usata nel gergo degli hacker del MIT per indicare un programma non ancora terminato. A differenza di altre avventure testuali, consentiva di comporre frasi articolate, ed era proprio questo l'elemento maggiormente apprezzato dai giocatori degli anni '80. Il gioco comprendeva, infatti, molti verbi e consentiva di spostarsi negli scenari di gioco, che appunto si potevano solo immaginare visto che davanti al giocatore si stagliava semplicemente una schermata nera con qualche riga di testo.

Giochi come Zork in quegli anni potevano essere facilmente scritti anche da un normale utente che non possedeva nozioni di programmazione avanzate, anche se, ovviamente, la profondità dei testi dei giochi della serie Zork rimaneva pressoché irraggiungibile. E non era certo l'unico gioco del genere che in quel periodo riscosse tanto successo. C'è ancora chi ricorda Avventura nel Castello, ovvero uno dei primissimi videogiochi italiani, realizzato nei primi anni '80 da Enrico Colombini.

Avventura nel Castello

Avventura nel Castello

Molti lo ricorderanno semplicemente come "castello", visto che questo era il comando che andava usato per lanciare il gioco su MS-DOS. Colombini realizzò quest'ultima versione con un Olivetti M24 (un 8086 a 8 MHz), ma originariamente il gioco venne concepito addirittura per Apple II. Siamo, quindi, proprio agli albori dell'era informatica.

Anche in questo caso bisogna guidare il personaggio servendosi di verbi e direzioni. Il gioco è ambientato in un castello scozzese fatiscente, dal quale si deve cercare di scappare senza essere uccisi. Dopo aver sottoposto al giocatore una descrizione dello scenario e della situazione, il computer poneva la fatidica domanda: "Cosa devo fare?" A quel punto il giocatore era chiamato a digitare i comandi utilizzando i verbi a sua disposizione (guarda, prendi). Avventura nel Castello nel 1983 veniva venduto a 48 mila lire, e anche questo è un elemento che dà un'idea netta di quanto siano cambiate le cose nel tempo. L'ultimo, ormai storico, enigma di Avventura nel Castello? "Solo col SENNO potrai uscire dal labirinto magico".

Chi amava i giochi più frenetici e più action, inoltre, avrà probabilmente giocato Freedom Fighters. Si trattava di uno dei primi clone di Defender. Non c'era alcun obiettivo come invece capita nei giochi di oggi, ma bisognava solo sparare e orientare la navicella verso la direzione dalla quale spuntavano le minacce. Questo gioco si poteva giocare sulla vecchissima Philips Videopac, la console rivale dell'Atari 2600 che si contraddistingueva per un hardware notevole (per quei tempi, ovviamente!) basato sul microprocessore Intel 8048 a 1,79 MHz capace di visualizzare 4 sprite personalizzati e 12 predefiniti.

Freedom Fighters

Chiudiamo la rassegna con Rogue (il videogioco preferito dal nostro Roberto Colombo! ndr), uscito nel 1980 nella sua versione originale. Era una sorta di rudimentale gioco di ruolo con grafica, però, composta unicamente da caratteri di testo e codice ASCII. Rogue diede il via a un vero e proprio genere di gioco, definito in quegli anni roguelike, che avrebbe dato i natali ad alcuni titoli molto famosi come Hack.

Il giocatore impersonava il tipico avventuriero dei giochi fantasy in stile Dungeons & Dragons. Questi doveva procedere da un livello di gioco all'altro, mentre ciascuno dei livelli veniva generato in maniera casuale, sia per quanto riguarda gli ambienti che per i mostri presenti e le funzioni dei tesori. La struttura del livello diventava chiara agli occhi del giocatore mentre procedeva casualmente in una delle direzioni a lui consentite. Si poteva anche cambiare l'armatura del personaggio, anche se ovviamente non si vedevano direttamente gli effetti dei cambiamenti. Ogni azione corrispondeva, infatti, a una semplice notifica, mentre lo stesso personaggio era rappresentato da un simbolo.

Rogue

Rogue

Anche in questo caso con soli caratteri ASCII si riusciva a costruire un'avventura piena di fascino, che teneva letteralmente incollati i giocatori come il nostro Roberto per ore e ore davanti al monitor. Tutte cose che i giocatori più giovani difficilmente riusciranno a capire, perché ormai sono fin troppo diligentemente accompagnati verso la comprensione di ciò a cui assistono.

Esperienze non completamente perdute, visto che è possibile viverle ancora oggi grazie a iniziative come The Internet Arcade, che abbiamo segnalato nei giorni scorsi e che potere raggiungere facendo riferimento a questo link. Ma anche lo stesso Zork è facilmente reperibile, in questo caso tramite Gog.

Tutto questo ci fa anche capire come i videogiochi, a un certo punto della loro evoluzione, si siano trovati davanti a un bivio. In certi casi si è scelto di seguire la strada classica, che potremmo definire "dell'interazione", in altri si è cercato di cambiare. I videogiochi moderni, infatti, rinunciano a buona parte dell'interazione per raggiungere un equilibrio precario tra gameplay e narrazione.

Nel corso del tempo, infatti, molti autori di videogiochi, penso a Kojima, ma potrei citare anche David Cage, così come molti altri, hanno sentito l'esigenza di ritagliarsi uno spazio più importante e di associare al giocato un significato ben definito e da loro lucidamente puntualizzato. Di raccontare, insomma, la storia non solo tramite il testo, come avveniva in quegli anni, ma anche con le immagini, azzannando degli spazi che prima erano di esclusiva competenza del gameplay.

Semplicemente, però, alcuni videogiocatori ancora oggi non hanno accettato questo cambiamento.

3 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - info
Er Monnezza06 Novembre 2014, 15:36 #1
uu, quante partite con Avventura nel Castello, si scrivevano anche i comandi senza usare articoli o congiunzioni per risparmiare tempo
DanieleG06 Novembre 2014, 21:04 #2
Spettacolare Avventura nel Castello.
tazy14 Novembre 2014, 12:53 #3
Ho i primi 2 e prenderò anche questo per mio figlio che li ha praticamente tutti i giochi della serie LEGO. Giochini fatti bene per il pubblico a cui sono rivolti....!!!

Devi effettuare il login per poter commentare
Se non sei ancora registrato, puoi farlo attraverso questo form.
Se sei già registrato e loggato nel sito, puoi inserire il tuo commento.
Si tenga presente quanto letto nel regolamento, nel rispetto del "quieto vivere".

La discussione è consultabile anche qui, sul forum.
 
^