Assassin's Creed III: la nuova frontiera degli assassini

Assassin's Creed III: la nuova frontiera degli assassini

Assassin’s Creed III è un pioniere. Finalmente, dopo aver spremuto senza pietà tutte le possibilità offerte dal setting rinascimentale e dalle vicende della famiglia Auditore, Ubisoft compie un deciso passo oltre. Sia in termini di setting storico, sia in termini di situazioni ludiche e narrative. Con il (vero) terzo capitolo della saga, infatti, le vicende rivissute da Desmond Miles, attraverso l’Animus, saranno legate ad antenati attivi sul continente americano nella seconda metà del 1700. A ridosso, durante e immediatamente dopo la Rivoluzione Americana. Alla recensione, seguirà l’analisi tecnica della versione PC di Assassin’s Creed III.

di pubblicato il nel canale Videogames
UbisoftAssassin's Creed
 

La frontiera

Le colonie nordamericane del 1700 erano davvero la terra delle opportunità. Terre immense e rigogliose, che aspettavano solo di essere scoperte e coltivate. Anche se, crudelmente, a scapito delle popolazioni autoctone. Il flusso migratorio dall’Europa si fece via via più massiccio. Di fatto, chiunque, con un minimo di risorse e intraprendenza, poteva ‘spingersi a Ovest’, autoproclamandosi proprietario di immensi appezzamenti di terra. Anche il cittadino europeo meno abbiente, una volta in America, poteva diventare ricco proprietario. Era l’inizio del vero ‘sogno americano’.

La conquista e lo sviluppo delle Colonie richiese comunque un alto tributo in sangue. Quello dei pellerossa, scacciati dalle loro terre in modo cruento; quello dei coloni, uccisi dalle incertezze della ‘conquista’ e dagli assalti degli indigeni; e quello dei militari, visto che il suolo nordamericano venne lungamente disputato dalle grandi Potenze europee a suon di cannonate.

Non appena la situazione intravide segni si stabilità, le prospettive dei coloni che ‘ce l’avevano fatta, divennero velocemente rosee. Non c’è quindi da stupirsi se, in questo contesto di grande crescita e mobilità sociale, molto presto i legami e i vincoli con la Madrepatria risultarono insopportabili. Uomini ormai ricchi ed emancipati, che avevano versato sangue per le Colonie, vedevano sempre più come abusi insostenibili le pretese economico commerciale imposte dalla Corona inglese. Ecco allora – complice un atteggiamento miope e ‘sottovalutante’ da parte dell’Inghilterra – la maturazione rapida e incontrovertibile delle velleità rivoluzionarie dei cittadini della Nuova Inghilterra. Fossero essi ricchi mercanti o prosperi proprietari terrieri, si trattasse di ferventi uomini di fede o di moderni intellettuali: tutto il cuore pulsante delle Colonie nordamericane intuiva la grande possibilità di creare un vero ‘nuovo modo’, fondato su principi del tutto impensabili nella Vecchia Europa, dove ogni individuo si sarebbe potuto ‘fare da sé’, esprimendosi nel pieno delle proprie facoltà e privo di ogni qualsivoglia ‘immobilismo sociale’.

La Guerra d’Indipendenza americana fu lo sbocco inevitabile di questa dicotomia.

In oltre otto anni di scontri, avvenne quello che alla vigilia era impensabile: i ribelli delle Colonie ebbero la meglio su quello che – con ogni probabilità – era il più potente esercito del mondo. Chiaramente l’intervento di altre Potenze. l’interminabile linea di rifornimento dei britannici e l’evidente sottostima delle forze coloniali da parte di Londra, furono componenti fondamentali nella vittoria dei ribelli. Ma determinante fu la partecipazione popolare: velocemente, infatti, la rivolta divenne vera e propria rivoluzione.

Nel 1783 le operazioni belliche, per quanto favorevoli alle truppe coloniali, si sarebbero ancora potute ribaltare. Ma il fronte interno inglese era crollato (a seguito del perdurare di un conflitto che si era creduto possibile vincere in poche settimane). E la Corona realizzò che l’adesione alla rivolta nelle Colonie era tale, a livello popolare, da rendere complicatissima l’amministrazione del potere, anche dopo un’eventuale vittoria.

Il Regno Unito, allora, trattò la pace con quelle che erano state le sue Colonie nordamericane.

Il contesto storico, pare evidente, si adatta alla perfezione al complesso conflitto che attraversa la storia, narrato da Ubisoft: un Impero secolare che cerca di mantenere ordine e controllo su una forza nascente, vitale e in qualche modo sovversiva: la Gran Bretagna contro i futuri Stati Uniti d’America, uno scontro che fa il paio con quello tra Assassini e Templari.

Ecco allora la decisione di legare Assassin’s Creed alle vicende della Guerra d’Indipendenza americana, entrando in uno scenario fascinoso, per quanto delicato.

Che Assassin’s Creed abbia sempre trattato temi storci ‘scomodi’, è acclarato: dalle Crociate ai complotti della Chiesa Cattolica, passando per i ‘magheggi’ del Sultanato. La decisione di prendere le parti dei rivoluzionari americani, contro gli inglesi, è comunque molto forte. Anche perché si tratta di eventi più recenti e, soprattutto, rappresentati molto più ‘da vicino’: se nei precedenti Assassin’s il contesto storico, per quanto presente, era uno sfondo in cui le azioni del protagonista si ponevano solo in contrasto con qualche evento reale, ora le vicende di gioco ci porteranno a incidere in modo molto più propositivo e diretto sulla storia.

La fine del ‘700 restituisce elementi sociali e militari interessantissimi, che AC III ha il merito di farci rivivere in modo preciso, approfondito e interessante. Anche il setting della frontiera (e delle nascenti città coloniali) è qualcosa di decisamente stuzzicante.

Ma andiamo con ordine: fin dai primi passi, nella Londra di metà ‘700, il lavoro di ricostruzione e documentazione svolto dai programmatori, risalta. Entrare nella Royal Opera House di Covent Garden, essere accolti da valletti imbellettati e interfacciarsi con loro come etichetta comanda, destreggiarsi tra dame e cavalieri ‘tirati a lucido’ per l’uscita a teatro e assistere all’incipit dell’Opera del Mendicante di John Gay, beh: è davvero qualcosa ‘da brividi’. L’atmosfera ‘di corte’ è qualcosa di decisamente singolare da esperire. E la cura per i dettagli di contorno è davvero maniacale.

Allo stesso modo, la frontiera americana è qualcosa di assolutamente unico. I grandi spazi, la natura incontaminata, i rumori della foresta, la fauna viva e ‘complessa’ e.. gli alberi. Girovagare per le foreste – innevate o nelle stagioni maggiormente rigogliose – è sempre qualcosa in grado di stupire. Certo, non si tratta mai di ambienti molto ampi. Ma essi sono straordinariamente ricchi, ‘raffinati’ nella resa acustica e immersiva e ‘interessanti’ da attraversare. Le sensazioni che si provano possono essere ben paragonate a quelle tipiche di Red Dead Redemption, anche se il titolo Rockstar poteva vantare una maggiore varietà, ma un tasso d’interesse minore. Notevole il sistema del ‘viaggio in quota’, che consente al giocatore di attraversare – rapido, sicuro e letale – buona parte degli scenari silvestri saltando da un albero all’altro. E’ qualcosa di piuttosto articolato – soprattutto in avvio -, ma presto diventerà agile e fondamentale. E sarà un’immediata ‘nota di differenziazione’ rispetto a quanto visto fin qui nella serie. Semplice, ma efficace e godibile.

Anche Boston, New York e gli altri insediamenti delle frontiera si propongono come un’interessante ‘nuovo approccio al mondo’ per la serie. Dimentichiamoci le enormi, sovrappopolate e architettonicamente complesse metropoli del Vecchio Mondo. In America tutto sta prendendo forma. Le città sono già di dimensioni notevoli, ma sono dotate di organizzazioni semplici, ampli spazi e tanto verde. Anche le installazioni più imponenti – militari, politiche o religiose – saranno davvero ‘poca cosa’ se confrontate con quello che abbiamo visto a Firenze, Roma, Costantinopoli o Gerusalemme. Ciò nonostante, la ‘semplice profondità’ della frontiera non mancherà di coinvolgere il giocatore. Soprattutto negli insediamenti più piccoli e isolati, dove la vita scorre a stretto contatto con la natura, secondo ritmi e modalità del tutto particolari. La semplicità con cui AC III tratteggia credibili centri abitati è del tutto godibile: non ci saranno ‘enormi routine’ di IA, ma tutto avrà un senso complessivo.

Positivo e ben realizzato lo scorrere delle stagioni, con l’alternarsi dinamico delle condizioni meteorologiche e del ciclo notte/giorno.

 
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