Call of Juarez The Cartel: il vecchio west non è mai mancato così tanto
Recensione della versione XBox 360 di Call of Juarez The Cartel. Le vicende di The Cartel prendono il là da un attentato agli uffici della DEA (Drug Enforcement Administration). L’episodio scuote profondamente l’opinione pubblica Usa, ed è sintomo della crescente potenza e arroganza del Cartello dei Mendoza. Los Angeles appare letteralmente in mano alla criminalità organizzata messicana, che è riuscita a infiltrarsi in ogni settore del crimine cittadino.
di Stefano Carnevali pubblicato il 19 Settembre 2011 nel canale VideogamesXboxMicrosoft
Giocabilità povera
Forse (ma per quanto mi riguarda no: tenevo troppo alla ‘storia’ dei McCall), avendo un impianto ludico solido e divertente, si sarebbe potuti passare sopra ai limiti della trama e dell’ambientazione. Invece, The Cartel non si risolleva nemmeno dal punto di vista della giocabilità. Le meccaniche dello shooter Techland sono trite e ritrite e nemmeno realizzate in maniera impeccabile, soprattutto per via degli enormi limiti tecnici del gioco. In scenari poco ispirati e che offrono pochissime soluzioni interattive, saremo chiamati a falciare orde di criminali.
Primo elemento stonato: Los Angeles diverrà scenario di scontri a fuoco di proporzioni esagerate – nemmeno si fosse in una contemporanea metropoli mediorientale, devastata dalla guerra -. Di conseguenza, i nostri ‘eroi’, si doteranno di un arsenale del tutto fuori luogo per il contesto urbano – e popolato di civili ‘amici’ – in cui si troveranno ad agire (e mi spiego: potremo venire in possesso anche di un M60!).
La dinamica degli scontri è quanto di più elementare si possa trovare in uno shooter moderno: nessun gioco di copertura (che era presente invece in COJ: Bound in Blood!) e nessuna variante sul tema ‘classico e principale’ (se non quando, dovendo affrontare postazioni ‘fisse’ di fuoco nemico, dovremo coordinarci coi nostri compagni, sfruttando il loro fuoco di copertura, per avvicinarci alle mitragliatici avversarie) visto in centinaia di sparatutto.
Un’altra ‘feature caratteristica’ si può individuare nelle ‘irruzioni in stanza chiusa’ (in certe circostanze, all’unisono con un compagno, sfonderemo delle porte, facendo irruzione in stanze piene di nemici, ‘aiutati’ da uno slow-motion che agevolerà le nostre pistolettate), ma si tratterà di eventi brevissimi e ripetuti in modo esagerato. L’elemento ‘esotico’, implementato nella struttura da shooter, sarebbe rappresentato dalla ‘concentrazione’ (un potere che si ‘carica’ uccidendo i nemici – più si è precisi, più rapida è la crescita -) che, a conti fatti, altro non è che l’ennesimo ‘bullet-time’, attivato il quale, i criminali saranno rallentati e, perciò, facili bersagli. Già stra-visto.
Il problema principale dell’impianto di gioco di The Cartel, però, sta nella monotonia e nel poco divertimento: oltre a essere ‘lineari e già visti’ i combattimenti del gioco targato Ubisoft non necessitano di alcuno sforzo strategico e si sviluppano in modo illogico e poco realistico (emblematico quando, accerchiati da un numero spropositato di nemici, i ‘nostri’ si asserraglieranno in una casa di un sobborgo di LA. I membri della gang si lanceranno all’assalto, però, avendo l’assurda ‘cura’ di effettuare gli attacchi alternativamente sui due lati della casa, a turno). Un altro tentativo – fallito – di rinfrescare l’esperienza di gioco, è rappresentato dalle sessioni al volante di veicoli. Il modello di guida è tanto elementare quanto scomodo. Ma il problema principale è la ridottissima visuale concessa a chi controlla le auto: il parabrezza è troppo piccolo, per cui, anche la manovra più semplice, risulta di difficile esecuzione.
La possibilità di giocare la campagna con degli amici sarebbe potuta essere la ‘salvezza’. Soprattutto perché, da trama, i 3 poliziotti sono in costante competizione tra loro. Si sarebbe potuto, quindi, giocare una campagna cooperativa, ma ‘sensatamente’ competitiva. Per concretizzare questa ‘gara’ tra i protagonisti, gli scenari di gioco sono stati disseminati di ‘oggetti speciali’ (soldi, di solito), che ogni agente dovrà rubare, all’insaputa degli altri. Idea interessante, ma realizzata con poca fantasia.
Alla fine, si tratterà di essere veloci nell’esplorazione delle locazioni, così da individuare e raccogliere il malloppo senza nemmeno farsi vedere dai compagni. Tra l’altro, un brusco passo indietro rispetto al precedente capitolo della saga, sta nel fatto che, al contrario di quanto visto in Bound in Blood, non ci siano vere differenze di comportamento in-game tra i personaggi selezionabili.
Il multiplayer competitivo è davvero poco significativo, inficiato da un sistema di controllo poco adatto e, in generale, poco ispirato. Oltre alle ‘classiche’ modalità tipiche degli shooter, avremo tra le mani un’opzione ‘Rapina’ (Poliziotti contro ladri.. ma senza nessuna componente strategica) e una ‘protezione’, altrettanto piatta.