Un'authority sui videogiochi dopo il caso Rule of Rose

Il thriller psicologico per PlayStation 2 ha destato un vespaio di polemiche nel nostro paese. C'è anche chi parla di un'authority sui videogiochi.
di Rosario Grasso pubblicata il 15 Novembre 2006, alle 14:26 nel canale VideogamesPlaystationSony
172 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoComunque non mi piace definire artista una persona che crea un videogioco con questa tematica.
Allora si dovrebbe togliere la violenza anche dai film, dai quadri, dai libri perchè non espongo fatti realmente successi, a parte alcuni, ma possono esporre storie romanzate di fatti realmente accaduti o comunque delle situazioni fantastiche ma realistiche. Come discernere? Non credo che la censura a priori sia una soluzione per un qualsivoglia problema.
beh, per un essere umano normale (leggi=dotato di una forma di sensibilità
bYeZ!
Perchè su un'adulto non è fastidiosa la violenza? Mi fà strano un distinguo che mette in equazione
violenza su minore < violenza su adulto. Sempre di violenza si parla, e sinceramente ritengo che l'applicazione della violenza su una qualsiasi soggetto sia sbagliata. Ma ritengo anche di avere la capacità di distinguere la realtà dalla finzione, tant'è vero che pur giocando a COD non sono ancora uscito di casa con un garand a sparare alla gente, pur avendo giocato a Carmaggeddon non vado a spiaccicare i pedoni e, sopratutto, pur giocando a Baldur's Gate (per fortuna) non vado ancora in giro in armatura...
Non tutti pensano ai videogiochi come intrattenimento digitale che può benissimo essere associato a film o a libri con messaggi e storie più o meno indicate a persone "adulte" (anche qua il bordo tra adulto e adolescente non è che sia così matematico).
Come già detto sta ai genitori vegliare sui figli, non a strani organi -.-
Per Zannawhite, non è mica detto che debba per forza sentirmi nella storia, se gioco a final fantasy ad esempio, io lo vivo come un libro più che come una simulazione di vita (virtuale) e non sempre i libri sono del tutto "divertenti" ci sono anche quelli che lasciano amaro in bocca no? Eppure sono comunque una forma di intrattenimento...
...ok, aveva gia risposto cerbert
Per ATi7500: sono giapponesi non uomini
Credo che il malcontento visibile nei comenti di questo articolo potrebbero costituire uno spunto per HWUP per scrivere un articolo di opinione sul tema.
Gentile Anna Serafini,
Le scrivo questa lettera dopo aver letto le sue dichiarazioni, riportate dalla giornalista di Panorama Terry Marocco nell'articolo "Videogiochi: Serve un'authority" (13 novembre 2006).
Devo confessarle che alcuni passaggi dell'intervista mi hanno lasciato molto perplesso.
Lei afferma, per esempio, che "servirebbe codice unico e comunitario che detti a tutti i paesi europei le regole da seguire" in materia videoludica. Mi sorprende che la Presidentessa della commissione bicamerale per l'infanzia non sia a conoscenza del fatto che una simile legislazione sia gia' in vigore da diversi anni. Mi riferisco alPEGI, (Pan European Game Information) ed e' adottato dall'industria nel suo complesso. Come sottolinea Andrea Persegati, direttore dell'AESVI, "Il PEGI è apprezzato a livello europeo come uno strumento efficace di autodisciplina e che lo stesso Commissario Europeo alla Società dell'Informazione e i Media, Viviane Reding, lo cita come modello di armonizzazione europea nel campo della protezione dei minori, quale best practice nel settore dell'autoregolamentazione". Inoltre, "La classificazione PEGI è indicata in modo visibile sul fronte e sul retro di ogni confezione. Tutte le console di nuova generazione incorporano inoltre adeguati sistemi di controllo parentale che permettono ai genitori di monitorare efficacemente l'uso dei videogiochi da parte dei figli." (Andrea Persegati).
Sono consapevole che Lei non ha molta familiarita' con il medium videoludico - ha dichiarato infatti a Panorama di "non saper nemmeno accendere una console PlayStation". Niente male: non e' mai troppo tardi. D'altra parte, considerando che gran parte dei giovani utilizzano regolarmente i videogame (negli Stati Uniti, le statistiche indicano che l'83% dei ragazzi tra gli 8 e i 18 anni videogiocano), forse sarebbe opportuno che si documentasse sulle caratteristiche dell'offerta, in modo da poter affrontare al meglio le sfide che il suo ruolo prevede.
Scoprirebbe, per esempio, che solo una piccola percentuale dei videogame disponibili sul mecato si rivolgono a un pubblico adulto. Scoprirebbe che i prodotti piu' venduti in assoluto, come The Sims, Civilization, Roller Coaster Tycoon, Gran Turismo e molti altri, non prevedono alcuna forma di violenza, ma che al contrario, sollecitano il giocatore a pensare, gestire processi dinamici, ad apprendere il funzionamento di sistemi complessi. Al contrario di quello televisivo, l'utente videoludico non e' affatto passivo: al contrario, e' attivo, curioso e dinamico.
Scoprirebbe che in Europa e negli Stati Uniti sono allo studio una serie di iniziative che promuovono l'utilizzo del videogame come integrazione alla didattica tradizionale. In realta' non e' necessario andare troppo lontano: anche in Italia si sta utilizzando una simulazione, The Sims, all'interno delle universita'.
Scoprirebbe inoltre che negli Stati Uniti, la Fondazione MacArthur ha investito 50 milioni di dollari per investigare il fenomeno dell'apprendimento digitale e per valutare gli effetti dei nuovi media sulle giovani generazioni. A questa ambiziosa ricerca stanno partecipando le piu' importanti universita' americane, come il MIT di Boston, la University of California, Berkeley, l'Universita' di Madison-Wisconsin, la University of Southern California e altre ancora.
L'informazione sui videogame non manca. Negli ultimi anni sono stati pubblicati numerosi contributi sull'argomento. Qui puo' trovare una serie di saggi in lingua inglese e in italiano: come puo' notare, esiste una ricca bibliografia in materia. Scoprira' addirittura che esistono centinaia di ricercatori universitari che si dedicano a tempo pieno allo studio del videogame.
Mi auguro vivamente che trovera' il tempo e la pazienza per documentarsi. Sono certo che, come molti altri prima di lei, giungera' alla conclusione il medium videoludico offre grandi possibilita'. Lei stessa ha dichiarato che e' importante affrontare il fenomeno senza demonizzarlo a priori. Le giovani generazioni hanno la fortuna di poter usare strumenti potenti che stimolano la creativita' e l'intelligenza: e' importante che le istituzioni lavorino con loro, anziche' contro di loro.
Non perdiamo un'occasione preziosa.
Con stima,
Matteo Bittanti
San Francisco, 13 novembre 2006
Matteo Bittanti (nato a Milano nel 1975) è un ricercatore universitario e scrittore. È ricercatore in nuovi media presso La Libera Università di Lingue & Comunicazione (IULM) di Milano. Ha pubblicato saggi e articoli sui videogames, il cinema, i videoclip e la letteratura americana e italiana contemporanea. Collabora attualmente con le riviste Videogiochi, Giochi per il mio computer, Duellanti, Rolling Stone e Cineforum.
ancora
"Caro Direttore,
le scrivo questa lettera in risposta all'articolo di copertina (e alla copertina stessa) dell'ultimo Panorama, "A scuola di ferocia con i videogame". Come giornalista della stampa specializzata, direttore culturale di GameCon, il Salone del Gioco e del Videogioco e presidente di Gamers, società che promuove il medium videoludico come forma d'arte, non posso che essere indignato da quanto scritto sul vostro periodico.
Anzi, contento. Vede, Direttore, quello che voi fate, dando alle stampe un reportage del genere, è pubblicizzare oltremodo i videogiochi, un mezzo di comunicazione del pensiero originale, moderno e assolutamente unico, che già da anni è assurto a forma d'arte e che si sta avviando a ripercorrere quello stesso cammino già seguito da tanti altri media demonizzati, come il cinema, i fumetti, la musica rock.
Portare il Videogioco sotto i riflettori come solo la grande stampa generalista può fare, amplificata da telegiornali nazionali e grandi emittenti radiofoniche, serve alla causa dell'alfabetizzazione videoludica, sebbene l'operazione nasca sotto i foschi stendardi dell'oscurantismo e della più cieca negazione. Per questo me ne rallegro.
Se tuttavia il desiderio è di andare oltre e parlare di contenuti, vediamo di fare chiarezza. Rule of Rose è un men che mediocre gioco horror giapponese, uscito quasi un anno addietro nel più completo disinteresse del pubblico e della critica. Perché? Per il suo scarso valore artistico e ludico. Si tratta di un prodotto di bassa lega che ha puntato tutto sui suoi contenuti forti, come infinite volte è avvenuto nella letteratura e nel cinema, senza peraltro riuscire a bucare il muro di indifferenza naturalmente eretto dalla comunità di videogiocatori, molto meno ingenua e disattenta di quanto voi possiate ritenere.
Rule of Rose è un horror e, come tale, è vietato ai minori: il fatto che possa essere scaricato sotto forma di copia pirata da Internet o che sia venduto da negozianti poco scrupolosi e attenti nel loro lavoro, ha ben poca rilevanza, mi scusi. E poi come stupirsi che si trattino temi quali la perversione o il sadismo o che ci siano personaggi minorenni? È una storia dell'orrore, questi sono tutti elementi piuttosto comuni al genere, quale che sia il tipo di opera nel quale si manifesta. Lo stesso può dirsi delle tensioni sessuali.
Stanley Kubrick ha firmato l'adattamento cinematografico di Lolita: deve di nuovo essere messo al bando? Certo che no, tanto più che si tratta di un'opera d'arte, un capolavoro. Rule of Rose un capolavoro non lo è di certo, ma ha tutto il diritto di esistere: sarà punito dal mercato e dalla critica, come infatti è avvenuto... a meno di miracolosi recuperi in terra italica, dopo la vostra straordinariamente immeritata pubblicità.
Siccome non voglio tediarla oltre, Direttore, passo subito a dire che il fatto davvero grave è il ricordarsi che esistono i videogiochi solo quando si deve lanciare una crociata o una caccia alle streghe, prendendo spunto da un pessimo prodotto di nicchia quasi potesse rappresentare altro rispetto ai "videogiochi spazzatura", che di certo esistono proprio come i romanzi, i film, i dipinti o qualunque altro tipo di prodotto dell'ingegno umano. Per affrontare un qualunque discorso è richiesta serietà e competenza, e occorrerebbe documentarsi correttamente.
Nell'articolo pubblicato sul suo prestigioso settimanale c'è di tutto: semplici errori di traduzione (Grand Theft Auto diventa Gran ladrone d'auto), grossolani errori di interpretazione (non è vero che in certi giochi i cattivi sarebbero i buoni, è solo che i cattivi sono i protagonisti: ha mai visto Il Padrino?), generalizzazioni della peggior specie (un Grand Theft Auto e uno Yakuza sono opere che contenutisticamente parlando hanno ben poco in comune: le ricordo che sono proprio le generalizzazioni a essere alla base di ogni razzismo), semplici casi di disinformazione (Postal 2, altro titolo di pessima qualità, è un prodotto volutamente parossistico, che fa dell'ultraviolenza la sua cifra stilistica comico demenziale).
Fa effetto constatare come nel frattempo, in Francia, Le Monde affronti lo stesso argomento con un servizio dal taglio leggermente diverso: "Videogiochi. E se ai bambini facessero bene?"
Chiudo con un ironico "complimenti" alla signora Anna Serafini, Presidente della Bicamerale per l'Infanzia che, dopo aver ammesso di non saper neanche accendere una Playstation, ritiene comunque opportuno parlare di videogiochi, invece di documentarsi e rivolgersi a qualcuno che può fornirle dei dati utili.
A conclusione di questa lettera aperta, invito lei e il signor Guido Castellano a un confronto sul tema della violenza dei videogiochi, che potrebbe aver luogo nella sede di GameCon (Napoli, 8-10 dicembre) o in qualsiasi altra sede da voi ritenuta più opportuna.
Cordiali saluti.
Marco Accordi Rickards
Marco Accordi è un giornalista del settore molto stimato per la sua competenza e professionalità
e ce ne sono delle altre
Un libro, un film, è un genere decisamente diverso e ritengo forse meno "incisivo" di un game.
Io...
Io sono veramente schifato! Mi fanno veramente ridere! Io da quando avevo 14 anni anche prima ho sempre comprato e giocato a giochi violenti, vietati ai 18anni ecc... Eppure ad oggi (22anni) non ho ancora ucciso nessuno e mai mi sognerei di farlo. I giovani o chi ci gioca ritengo che abbiano il cervello, ci si può esaltare per aver ucciso TUTTI e TUTTO ma è SOLO un GIOCO! Poi vi parla uno che gioca anche a softair!Devi effettuare il login per poter commentare
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