Recensione Gears of War 4: questione di hype
Gears of War è una delle saghe più iconiche nella recente storia dei videogiochi: non è esagerato affermare che, per i possessori delle piattaforme Microsoft, la collana ideata da Epic Games abbia avuto un importanza paragonabile a quella di Halo. L’uscita del quarto capitolo della serie principale è quindi un evento di assoluto rilievo, soprattutto se si considera l’attesa: ben 5 anni, interrotti solo dal poco ispirato spin-off GoW: Judgment.
di Stefano Carnevali pubblicato il 06 Ottobre 2016 nel canale VideogamesMicrosoftXbox
Introduzione
Le ragioni della grande considerazione di cui gode GoW - di fatto una delle più carismatiche esclusive Microsoft - sono molteplici.
L’IMMAGINARIO E LA NARRAZIONE. Da sempre il lavoro di Epic Games, People can Fly e The Coalition ha cercato di rendere GoW qualcosa più di un ‘semplice’ sparatutto divertente e profondo da giocare.
Da sempre il lavoro di Epic Games, People can Fly e The Coalition ha cercato di rendere GoW qualcosa più di un ‘semplice’ sparatutto divertente e profondo da giocareSin dal primo capitolo della saga, infatti, il giocatore è stato catapultato su Sera, un pianeta caratterizzato da una storia tanto sanguinosa quanto complessa, da una vita politica fatta di intrighi e complotti e abitato da personaggi carismatici e indimenticabili.
Abbiamo così conosciuto il dramma delle Pendulum Wars (e, progressivamente, ne sapremo ancora di più), vissuto appieno lo shock dell’E-Day e del conflitto razziale contro le Locuste e scoperto il pericolo rappresentato dall’infido Imulsion.
Questo viaggio in un immaginario così complicato e ricco di connessioni, è stato compiuto seguendo primariamente le vicende di Marcus Fenix, il leader della squadra Delta dell’esercito COG (la fazione umana e ‘governativa’ di Sera).
Attorno a Fenix si muove tutto un cast di compagni d’arme, ribelli, amici e famigliari che fanno della saga di GoW un dramma profondo e sfaccettato, in cui nulla è sempre quel che sembra e in cui il confine tra bene e male si fa spesso più che labile.
L’evolversi della storia - sia quella del pianeta, si quella dei protagonisti - è affidato tanto a spettacolari cut-scene, quanto a dialoghi che avvengono durante le sessioni di gioco, prima e dopo gli scontri a fuoco più accesi e durante le fasi di esplorazione: un espediente che aumenta il coinvolgimento. Certo, non sempre tutto è andato per il verso giusto: ci sono stati passaggi a vuoto nella narrazione, così come alcuni ‘turning point’ delle vicende non hanno saputo trasmettere a dovere le sensazioni desiderate.
Ma per certo l’affresco offerto da GoW è pressoché unico - per complessità, carisma e coerenza - nel mondo degli shooter, solitamente molto avaro di attenzioni per la componente di setting e narrazione.
GAMEPLAY. Naturalmente, GoW ha colpito nel segno anche in termini di gameplay, andando a offrire un modello di shooter in terza persona preciso, profondo e innovativo.
Altro fiore all’occhiello della saga è il modello di fuoco, che si bea di un sistema di mira docile ma mai banale, che ben risponde alle diversificate sollecitazioni di ciascuna arma, rendendo i combattimenti vari, credibili ed esaltantiI combattimenti di Gears, infatti, sono impegnativi scontri a fuoco in cui - oltre alla resistenza di soldati e nemici - spiccano brutalità e necessità di pianificazione. Se da un lato, infatti, il sangue scorre a fiumi (con la possibilità di sventrare letteralmente i nemici durante i corpo a corpo e quella di realizzare ‘esplosivi’ headshot), dall’altro la scelta del percorso, l’individuazione delle giuste coperture e la realizzazione di strumenti difensivi, costituiscono una parte fondamentale ed iconica del gioco. Essenziale e gratificante, soprattutto quando si selezionano i livelli di difficoltà più avanzati. Altrettanto rilevante è l’attribuzione delle priorità ai bersagli: se non si comprende rapidamente quali siano gli avversari da abbattere per primi, si rischia quasi sempre di fare una brutta fine.
Altro fiore all’occhiello della saga è il modello di fuoco, che si bea di un sistema di mira docile ma mai banale, che ben risponde alle diversificate sollecitazioni di ciascuna arma, rendendo i combattimenti vari, credibili ed esaltanti.
L’arsenale che caratterizza le differenti fazioni di GoW è un’altra peculiarità della saga: in costante evoluzione e profondamente differenziato, esso lascia spazio alla sperimentazione e - attraverso una pratica adeguata - dà la possibilità di diventare guerrieri rapidi e letali. Doverosa menzione merita anche il sistema di ricarica ‘attiva’: bloccando al momento giusto il relativo cursore, infatti, consentiremo al nostro alter-ego virtuale un rapidissimo cambio di caricatore. Sbagliando tempismo, invece, incepperemo per qualche istante l’arma, divenendo così vulnerabili.
La peculiare conformazione del modello di shooting caratteristico di Gow, fa sì che le situazioni di conflitto maggiormente funzionanti, risultino le operazioni di attacco/difesa postazione. È in questi casi che il sistema di coperture e di gestione coordinata degli spazi - perno dell’esperienza di GoW - dà il meglio di sé. Non è un caso che la sceneggiatura proponga numerosissime battaglie di questo tipo.
Va poi detto che, anche in tutte le altre situazioni di lotta, avremo sempre un’azione particolarmente cadenzata e statica: l’ideale per costringerci a sfruttare ripari e manovre di aggiramento. Scordatevi, insomma, salti e frenesia. Così come aree eccessivamente ampie.
La pesantezza dei personaggi è uno altro dei tratti peculiari di GoW: i Gears, massicci e abbondantemente corazzati/armati, trasudano sì potenza, ma denunciano anche una certo impaccio nei movimenti che rende gli scontri più ravvicinati complessi da gestire. Ecco allora, di nuovo, la necessità di calcolare bene distanze e configurazione del teatro dello scontro: tenere sempre qualche decina di metri tra sé e gli avversari è sempre la scelta più saggia.
Progressivamente, poi, la saga ha introdotto anche delle - tutto sommato ancora limitate - possibilità di interazione con l’ambiente anche oltre le citate coperture: colpire oggetti può genare ripari o portare a devastanti esplosioni/crolli strutturali da sfruttare con accortezza. Di nuovo: pianificazione.
GRAFICA E TECNICA. GoW è sempre stato una gioia per gli occhi. Tanto i personaggi, quanto il mondo di gioco sono sempre stati graziati da una realizzazione curata e ‘potente’. Persino le scelte artistiche sono sempre risultate azzeccate, dando coerenza e personalità a tutti i capitoli della saga. In particolare vanno citati gli stridenti accostamenti tra le anticheggianti architetture umane - solitamente ispirate a un medioevo/rinascimento europeo nelle città - e la utlra-moderna tecnologia in dotazione ai COG. Per non parlare delle - letteralmente - viscerali componenti connesse alle costruzioni delle Locuste e degli altri nemici. Scelte azzeccate, che denunciano uno studio attento e buona creatività.
MULTIPLAYER. Tripudio della saga è, infine, la ricchissima componente di multiplayer che, nel corso delle varie uscite, è stata ampiamente potenziata. La campagna di GOW - laddove possibile - VA giocata in cooperativa: in questo modo il divertimento si moltiplica, così come le possibilità di escogitare manovre complesse e pianificate. Al contempo si aggirerà (o quantomeno limiterà) il problema della grande efficenza medica dei compagni manovrati dalla cpu: l’IA alleata, infatti, non vanta grandi doti militari, ma è molto resistente ai colpi del nemico e ha una grande propensione a salvare il giocatore ferito anche nelle situazioni più rischiose. In questo modo - anche per via della scarsa tendenza alle esecuzioni dei nemici - riusciremo a evitare la morte in tanti - troppi - casi. Questo non è un bene, perché, anche ai livelli più alti di difficoltà, quasi ogni scontro diventa una questione di QUANDO verrà superato, mai di SE.
Considerando tutte queste feature, risulta evidentemente comprensibile come il quarto capitolo della saga principale di GoW, goda di tutto questo hype. Ma se lo merita?