Il miglior videogioco per PS4 è Bloodborne

Il miglior videogioco per PS4 è Bloodborne

La nuova opera firmata da Hidetaka Miyazaki è interpretabile come il tassello decisivo per la consacrazione del genere Soulslike verso un pubblico potenzialmente un po’ più ampio, senza comunque rinunciare a molti dei pilastri fondamentali che hanno fatto la fortuna di From Software negli anni. In primis la complessità e l’elevato livello di di sfida.

di pubblicato il nel canale Videogames
SonyPlaystation
 

… ma lo spirito di Dark Souls aleggia

Analizzate nel dettaglio quelle che sono le differenze, anche marcate, che rendono Bloodborne unico nel suo genere, bisogna passare a discutere di tutti quegli aspetti che invece sono stati mantenuti più o meno inalterati, oppure che sono stati ripresi dalle esperienze precedenti. Quando si viene uccisi, gli echi del sangue accumulati fino a quel momento e non ancora investiti verranno droppati sul terreno. Per recuperarli si dovrà pertanto ritornare sul luogo in cui si è stati abbattuti, avendo l’accortezza di non farsi uccidere di nuovo prima di averli trovati. Talora è anche possibile che gli echi vengano acquisiti da uno dei nemici presenti nelle vicinanze. In quel caso per vederseli restituire è indispensabile uccidere l’avversario, facilmente individuabile perché i suoi occhi luccicheranno in modo diverso dal normale.

Un’altra analogia col passato è la continuità a cui si viene sottoposti mentre ci si trova all’interno delle mappe. In questi casi non sarà mai possibile mettere completamente in pausa il gioco, nemmeno qualora si decida di consultare il proprio inventario o modificare alcuni degli oggetti equipaggiati. La scelta di luoghi tranquilli (come ad esempio le aree in prossimità delle lanterne) è sempre necessaria ed emerge di continuo lo specifico intento di stimolare il giocatore a mantenere un grado di attenzione costantemente elevato.

Passando ai meccanismi di cura, in Dark Souls 2 venivano impiegati due differenti criteri: da un lato le fiasche di Estus e in alternativa le Lifegem, che non erano invece presenti nel predecessore. Queste ultime andavano recuperate come oggetti lasciati cadere a terra dai nemici o in alternativa erano acquistabili, ad un prezzo piuttosto accessibile. In Bloodborne l’utilizzo delle pozioni è stato semplificato rispetto al passato: sono infatti disponibili delle semplici fiale curative che possono essere acquisite abbattendo i nemici, oppure acquistate tra gli oggetti in vendita presso il Sogno del Cacciatore. Per di più, a differenza delle Lifegem, non presentano una durata limitata nel tempo, ma al contrario garantiscono una quantità di punti vita sicura e permanente.

Qualora ve lo stiate domandando, anche con la presenza di questi correttivi la difficoltà rimarrà particolarmente elevata, anche se leggermente inferiore a quella di Demon’s Souls e Dark Souls. La curva rimane particolarmente alta soprattutto nella prima parte dell’esperienza, dove non sarà possibile livellare in alcun modo il personaggio fino all’incontro con il primo boss del gioco.

Due parole vanno necessariamente spese anche per quella che è una delle attività fondamentali del gioco: il farming. Anche in questo caso è infatti necessario insistere nella crescita del personaggio e per farlo il giocatore ha una gran quantità di opportunità e di scelte possibili, in modo da scegliere la strada ritenuta più efficace per accumulare Echi del Sangue nel minor tempo possibile oppure riducendo ai minimi i rischi di essere abbattuto e sprecare tutto il lavoro. Inevitabilmente Bloodborne richiede dedizione e pazienza, comprensione di certe dinamiche e capacità di ottimizzazione delle tempistiche, doti che comunque non saranno facilmente digeribili a chiunque, specialmente nel caso in cui si tratti di giocatori non particolarmente abili o smaliziati.

 
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