Journey: il cerchio della vita, tra sperimentazioni e arte

Journey: il cerchio della vita, tra sperimentazioni e arte

L’abbiamo atteso per lungo tempo e finalmente la nuova creazione di Thatgamecompany è approdata sul PlayStation Network. Preparatevi ad un viaggio breve ma di un’intensità rara, che tratterà una tematica profonda come quella del cerchio della vita, attraverso un approccio fortemente emozionale.

di pubblicato il nel canale Videogames
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Non conta l’obiettivo, ma la strada compiuta per raggiungerlo

Il tema portante di Journey si sviluppa intorno ad una tematica molto tradizionale ma dalle implicazioni profonde, le cui radici affondano nella stessa origine della vita e nell’inesauribile percorso circolare che si viene a instaurare quando una nuova entità viene alla luce e si ‘incammina’ verso quello che sarà il tragitto unico e individuale della sua esistenza.

Sono proprio queste le premesse dalle quali prende le mosse l’esperienza vissuta dal giocatore. Si assume il controllo di un minuto e stilizzato personaggio dalle sembianze quasi umane, del quale non si conosce né l’identità né la provenienza. Lo si incontra nel bel mezzo di un deserto, piatto e sconfinato, mentre in lontananza si può osservare un unico dettaglio degno di essere rilevato e tenuto in considerazione, ovvero un gigantesco monte sulla cui sommità si erge, eterea, una forte luce bianca. Peraltro non si tratta di un deserto come ce lo si potrebbe aspettare nelle tradizionali rappresentazioni che siamo stati abituati a vivere in altre circostanze (è particolarmente fresca la notevolissima sessione nel deserto proposta da Naughty Dog in Uncharted 3). Non esiste angoscia, senso di oppressione e desolazione dovuta alla difficoltà di sopravvivenza per la maggioranza degli esseri viventi in un ambiente così arido e ostile. Ciò che si prova in questa prima fase di esplorazione è un presagio di impotenza ma al contempo di tranquillità, quasi di pace. Come infatti avevo evidenziato nel mio hands on, si veicolano questo senso di suggestione nei confronti del mondo e dell’universo che ci circonda, non in ottica angosciosa ma al contrario secondo un approccio disteso, a tratti consapevole.

In realtà questa interpretazione rivestiva soltanto una porzione delle implicazioni che affiorano dall’esperienza di Journey. Dinamiche che si comprendono solamente terminando il viaggio e giungendo alla fine di un percorso dai molti risvolti diversi. Solo in quest’ottica si riesce a capire davvero l’approccio iniziale e a filtrare quelli successivi, ricollegandosi per l’appunto alla metafora del cerchio della vita che relativamente ad una persona può essere interpretato come l’evoluzione dallo stadio dell’infanzia, passando per le molteplici e alterne esperienze cui ci mette di fronte l’esistenza, fino all’epilogo finale e al mistero che ci attende al termine del nostro percorso. Thatgamecompany ha saputo rappresentare questa tematica esistenziale in modo stilizzato, pragmatico se vogliamo, ma con una carica espressiva e una potenza emozionale che difficilmente mi è capitato di riscontrare in altre produzioni, anche le più versate ad approcci indagatori, riflessivi o semplicemente fuori dagli schemi (da Rez a Ico, passando per Portal).

Appare chiaro allora il motivo per cui il misterioso personaggio messo nelle mani del giocatore non abbia né un nome né un’identità precisa. Il piccolo ma instancabile protagonista rappresenta tutti noi, le nostre esperienze, i nostri bisogni, le nostre sensazioni. Il gameplay è funzionale proprio a far emergere questi significati, espressi peraltro con il semplice utilizzo di pattern sensoriali e visivi, dal momento che nel gioco non sono assolutamente presenti dialoghi o parti scritte. Tutto è affidato ai sensi, all’alternanza di colori e suoni, a una colonna sonora che accompagna sapientemente l’incedere, in un continuo saliscendi di emozioni, risolvendosi poi in una sequenza conclusiva che, volendo provocatoriamente esagerare, potrebbe definirsi da ‘Sindrome di Stendhal’ (vi basti sapere che ho riposto il pad con la pelle d’oca, per essere più precisi).

Sul fronte dell’interazione le meccaniche di gioco risultano concretamente intuitive e sviluppate attraverso semplici sezioni puzzle e platform. Durante le sequenze esplorative il piccolo protagonista incontrerà una pletora di frammenti e stendardi color porpora, identici alla tonalità della sua lunga tunica. Tramite la pressione del pulsante cerchio è possibile emettere degli impercettibili e brevi suoni, che attiveranno tali oggetti, ricaricando il personaggio e permettendogli di effettuare salti o di planare verso zone inferiori.

La durata di tale abilità viene peraltro regolata in relazione alla lunghezza di una singolare sciarpa che in un primo tempo sarà lunga solamente pochi centimetri ma che in seguito si potrà estendere progressivamente, entrando in possesso di alcuni glifi luminosi disseminati per gli scenari. Al termine di ogni sezione si passa attraverso quelle che sembrano a tutti gli effetti delle postazioni cerimoniali. In questi frangenti il personaggio si siede in meditazione dopo aver attivato alcuni totem luminosi e si mette in contatto con particolari entità, presumibilmente di natura divina. Così facendo otterrà accesso all’area successiva, un processo che metaforicamente sembra rappresentare un nuovo e ulteriore stadio della propria consapevolezza e un passo di avvicinamento all’obiettivo, a tratti anche travagliato, costituito nel gioco dal raggiungimento della maestosa montagna luminosa.

L’esperienza di Journey si presta ad essere vissuta in solitaria o viceversa in compagnia di altri giocatori, che possono essere incontrati in modo del tutto casuale durante il proprio percorso. Anche da questo punto di vista i richiami di significato si sprecano, in riferimento soprattutto alla ‘casualità’ (o agli incroci del destino, a seconda delle proprie convinzioni) delle relazioni umane e al fatto che tendenzialmente compiamo porzioni del nostro percorso accompagnati da altri individui, sebbene poi il fine ultimo della nostra esistenza sia finalizzato, nel bene o nel male, ad un progredire intimo e solitario.

 
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